Israele-Iran: la fine della “mezzaluna sciita”

I preamboli di una guerra, forse decisiva per l’Iran, erano evidenti. Il rifiuto da parte del governo decadente degli Ayatollah nel rinunciare al programma nucleare militare, era una linea rossa come obiettivo, dove per gli Stati Uniti e Israele la “linea rossa” era quella di interrompere l’arricchimento dell’uranio iraniano, ovvero tagliare la strada “dell’ultimo miglio” per ottenere la bomba nucleare.

La costruzione di un nuovo ordine del Medio e Vicino oriente è evidente, ma soprattutto non deve sfuggire che tale riorganizzazione interessa soprattutto il mondo musulmano sciita. Anche nella questione “Striscia di Gaza”, che concentrerei piuttosto sui sunniti di Hamas, rientra l’influenza sciita, quindi dell’Iran, caposaldo della “mezzaluna sciita”, le cui risorse militari e strategiche sono state determinanti per mettere in condizione i carnefici di Hamas di attaccare Israele e azioni collegate. Per il resto il Medio e Vicino Oriente sta subendo un riassetto dove c’è una tendenza all’eliminazione delle “instabilità” causate da gruppi e Paesi che non casualmente costituiscono la mezzaluna Sciita, ovvero Hezbollah, Houti yemeniti, le varie milizie sciite siriane ed irachene, e per prima la Siria, nazione sciita (con varie peculiarità), prima dell’arrivo dei “jihadisti democratici” di Ahmad al-Shara’, nome d’arte da estremista islamico sunnita Abu Muhammad al-Jawlani.

Al momento lo scontro tra il governo degli ayatollah, non del popolo iraniano, e Israele, ha nuovamente mescolato le carte della geopolitica e delle “sensibilità” collegate, infatti la preoccupazione suscitata da questa nuova guerra, che per Israele dovrà durare il meno possibile, oscura la tragicità della situazione a Gaza. L’operazione Rising Lion, iniziata il 12 giugno, mirata a demolire i siti dove si opera per il nucleare militare iraniano, è sulla linea strategica che Benjamin Netanyahu da anni adotta, ma ha avuto una accelerazione dopo i massacri commessi da Hamas il 7 ottobre 2023. Netanyahu già nel 2010 aveva fatto sviluppare lo Stuxnet, un virus informatico che colpiva le centrifughe iraniane ostacolando e rallentando il programma, oltre ad avere negli anni eliminato diversi scienziati responsabili di tale “dottrina nucleare”.

Israele ha sempre affermato che non avrebbe accettato mai che un Paese della regione potesse dotarsi di armi nucleari; già nel 1981 a giugno, in Iraq, il reattore di Osirak, edificato con l’aiuto della Francia alla periferia sud di Bagdad, fu bombardato dall’aviazione israeliana. Netanyahu ha ripetutamente affermato di non tollerare assolutamente lo sviluppo di capacità nucleari da parte dell’Iran, comprese quelle civili. Per questo si è opposto all’accordo firmato nel 2015 da Barack Obama con il regime iraniano, da cui gli Stati Uniti si sono ritirati nel 2018 con l’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump.

Comunque questo conflitto tra ebrei e sciiti ha rivelato come questa crisi regionale si interseca con le criticità interne dei singoli Paesi arabi sunniti e tocca anche l’atavica divisione confessionale tra sciiti e sunniti. Infatti gli scontri aperti tra Iran e Israele non si sono limitati alle mappe del Medio Oriente, ma si sono estese allo spazio virtuale arabo, dove è emerso il peso della divisione politica e settaria, sia a livello popolare che elitario nei confronti delle parti in conflitto. Così sulle piattaforme social, ma anche sulla rete, assistiamo ai commenti più disparati che riflettono la profondità della divisione araba, soprattutto quando richiamano, magari non consci, il pensiero di Mao Zedong, 1925, ponendosi le domande su: “Chi è il nostro nemicoChi è il nostro amico?”.

In effetti dietro alle esplosioni devastanti sia a Teheran che a Tel Aviv, emerge un’ondata di rabbia e rifiuto tra gli arabi sunniti che ha palesato anche la gioia per gli attacchi israeliani a Teheran, arrivando anche a considerare l’Iran un avversario non meno pericoloso di Israele. Questo atteggiamento si è manifestato chiaramente nei commenti e nei tweet degli utenti del Golfo Arabo, tra cui accreditati opinionisti e organizzazioni mediatiche contrarie alle politiche iraniane. Perché queste posizioni del Mondo arabo? La realtà è che molti associando il sostegno degli ayatollah ai sunniti di Hamas, come agli sciiti Houthi ed Hezbollah libanesi, ritengono che queste azioni siano una copertura al vero obiettivo sciita-persiano che mira ad influenzare ed indebolire i regimi arabi sunniti. Quindi anche l’impegno iraniano in Palestina, verso Hamas, è volto a espandere la propria influenza nell’area.

Ci troviamo ora a vedere ampi settori dell’opinione pubblica araba confusa nel determinare una posizione in merito al conflitto tra Iran ed Israele, altri stanno evitando di prendere posizione soprattutto quegli stati aderenti o “vicini” al “Patto di Abramo”. Comunque le posizioni del mondo arabo sunnita nei confronti dell’Iran sono cariche di inquietudini: dalla guerra Iran-Iraq (1980-1988), al peso di Teheran in Siria, Iraq e Libano, oltre ai suoi rapporti con le fazioni armate sciite e ai suoi progetti nucleari. Questa concentrazione di vicende politiche e strategiche aggressive ha disegnato la visione dell’Iran come il pericolo più grande, presentando Israele come un partner moderato e affidabile, che forse potrebbe frenare la “marea sciita”, “materia” non nelle corde del Mondo arabo sunnita.

Forse lo Stato ebraico potrebbe risolvere la questione della diaspora tra sciiti e sunniti iniziata nel VII secolo?

Aggiornato il 18 giugno 2025 alle ore 12:08