
Un ladruncolo di quartiere si lamentava del perché dopo ogni furto cercavano lui e perquisivano la sua dimora, peccato che sempre lì trovavano la refurtiva. La Repubblica nella sua Newsletter quindicinale di Francesco De Leo ricalcava ancora una volta le calunnie contro l’organizzazione principale della Resistenza iraniana, i Mojahedin del popolo. Evidentemente non bastava più offrire la narrazione di De Leo sulla teocrazia iraniana, facendola passare come quasi democratica. No questo non basta più ad un regime in una crisi crescente e sempre più acuta. De Leo ha avuto dal regime “l’autorizzazione di seguire per un giorno i lavori parlamentari” in Iran. Cosa deve fare uno per ottenere questa concessione da un regime così ermetico – un regime liberticida che non ammette dissenso, che dell’Iran ha fatto la più grande galera per i giornalisti? – deve contribuire a demonizzazione l’opposizione al regime teocratico, quella più temuta, i Mojahedin del popolo, ripetendo la propaganda dello stesso regime. Il giornalista De Leo anche in passato ha dimostrato un certo talento in questo, infatuato di Mir Hossein Mousavi – la causa della sconfitta del movimento Onda verde in Iran – chiamandolo genio artistico, decantava e osannava il riformismo in seno al regime totalitario in Iran. De Leo nel suo libro L’onda verde d’Iran, elenca una serie di banali luoghi comuni sul regime di Teheran, arrivando perfino a dire che Ruhollah Khomeini “aveva ispirato e capeggiato una rivoluzione che cercava un rapporto con la modernità diverso da quello raggiunto dall’Occidente”. Il curatore della Newsletter quindicinale de La Repubblica crede la teocrazia iraniana democratica e si stupisce positivamente che “è inconcepibile, da queste parti, la libertà concessa a chi sfida il presidente della Repubblica in carica!”.
La forza principale della Resistenza iraniana, I Mojahedin del popolo, che da sessant’anni si batte contro la dittatura in Iran, nella Newsletter di Francesco De Leo viene definita una setta terrorista. Considerati i tempi, la Newsletter, più che screditare i Mojahedin del popolo, qualifica Francesco De Leo. Perché nega l’evidenza, perché ripete logorati preconcetti usciti dalla bocca degli uomini della teocrazia iraniana e suscita il sospetto che si tratti di un calcolo deliberato. La Newsletter di De Leo sostiene che i Mojahedin del popolo e i loro simpatizzanti hanno ingannato politici del calibro di Giulio Terzi di Sant’Agata, di Mike Pence, di Mike Pompeo, di Stephen Harper e altri 50 ex presidenti della Repubblica, 40 ex primi ministri, 71 premi Nobel e oltre 4.000 parlamentari di ogni parte del mondo che hanno dato il loro sostegno alla lotta di libertà del popolo iraniano e alla loro eroica resistenza organizzata. La Newsletter di De Leo sostiene che l’appoggio bipartisan della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, di 560 membri della Camera dei comuni e della Camera dei Lord, la maggioranza della Camera dei deputati e di altre migliaia di rappresentanti del popolo del mondo libero sono stati tutti ingannati dai resistenti iraniani. Se la sparata di De Leo non è una demonizzazione deliberata contro i Mojahedin del popolo, allora bisogna ammirare la loro capacità persuasiva!
Chi sono questi Mojahedin del popolo iraniano, Pmoi, e cos’è il Consiglio nazionale della Resistenza iraniana? I Mojahedin del popolo, organizzazione di ispirazione islamica fondata nel 1965, sono democratici e credono profondamente nello Stato di diritto e nello Stato laico. Credono nella giustizia sociale – per cui sono etichettati dai superficiali come marxisti – e credono nell’eguaglianza tra donne e uomini. Dal 1985 la loro dirigenza e tutti i segretari generali sono donne. Dopo il rovesciamento del regime dittatoriale dello sciah nel 1979 e l’insediamento del regime dei mullà, i Mojahedin del popolo per due anni e mezzo hanno cercato di rivendicare il loro diritto e quello del popolo alla partecipazione politica in Iran. Durante questo periodo, finché i loro candidati ebbero ancora la possibilità di partecipare alle elezioni, che comunque erano fortemente manipolate dal regime, i Mojahedin del popolo presero milioni di voti, garantendosi un consenso e un’accoglienza eccezionale tra la popolazione giovanile e tra le donne, appunto per la loro politica progressista.
Dopo i massacri dell’estate 1981 e la tremenda repressione seguita, e mai allentata, da parte del terrore khomeinista, furono costretti ad abbandonare il Paese e a esercitare l’opposizione all’estero per denunciare i crimini perpetrati dal regime. I Mojahedin del popolo sono una forza indipendente e hanno radici nella lotta secolare degli iraniani per la democrazia. Non hanno creduto nella ubriacatura del “riformismo” di Mohammad Khatami, e per questo nel 1997, su richiesta del regime iraniano, sono stati inseriti senza alcun fondamento nella black list degli Stati Uniti. Gli stessi membri dell’Amministrazione Clinton dichiararono che era stato fatto per compiacimento verso Khatami. La Pmoi (Mojahedin-e Khalg, Mek in lingua farsi) denunciò il Dipartimento di Stato americano presso la Corte statunitense. La Corte d’appello del distretto di Columbia a Washington, il 25 giugno 1999, emise una sentenza nella quale dichiarava che le informazioni fornite dal Dipartimento di Stato non erano convincenti, perché illogiche e prive di alcun fondamento. Anche la Corte federale del Distretto di California, il 22 giugno 2002, bocciava l’inserimento del nome dei Mek nella black list, in quanto “contraria alla Costituzione degli Usa”. Ma tutte queste voci provenienti da sedi giudiziarie non scalfirono la volontà di una sporca politica di appeasement, sostenuta da una parte di stampa compiacente, verso il regime dittatoriale al potere in Iran ai danni della opposizione al regime.
La battaglia democratica e giuridica dei Mojahedin del popolo non si è mai arrestata, nonostante l’etichettatura di terrorista rendesse la vita dell’opposizione ardua, fornendo l’alibi al carnefice nel sopprimere molte vite umane. La Corte federale del Distretto di Columbia, il 16 luglio 2010, di nuovo decretava che l’inserimento della Pmoi nella black list era una violazione del diritto, ed esprimeva dubbi sulle informazioni e sulle fonti fornite dal segretario di Stato nei riguardi dell’Organizzazione dei Mojahedin del popolo. Visto il ritardo ingiustificato da parte del Dipartimento di Stato sulla cancellazione dalla lista, i Mojahedin del popolo riportarono di nuovo il caso di fronte alla Corte. E il 1 giugno 2012, con una sentenza senza precedenti, la Corte di appello degli Stati Uniti del Distretto di Columbia “ordinò” al segretario di Stato di esprimersi sulla rimozione dalla lista. Il 28 settembre 2012 finalmente, dopo 15 anni, il Dipartimento di Stato Usa ha depennato ufficialmente i Mojahedin del popolo iraniano dalla lista delle organizzazioni terroriste. Anche l’Unione europea, in seguito a pronunce delle Corti europee, ha preso atto della totale infondatezza delle accuse di terrorismo, depennando dalla black list i Mek. Rievocare questo fallo deliberato delle democrazie occidentali nei confronti di una forza di resistenza alla dittatura qualifica chi si presta al gioco.
Il Consiglio nazionale della resistenza iraniana (Cnri), non è l’ala politica dei Mojahedin del popolo. È una coalizione democratica, fondata nel 1981 a Teheran, che ha un suo statuto autonomo. Il Cnri, formato da forze politiche e personalità democratiche iraniane, oggi è presieduto da una donna, Maryam Rajavi. I Mojahedin del popolo iraniano sono l’antitesi e la negazione della dittatura monarchica e teocratica, e in questo sono in sintonia con la gran parte degli iraniani. Nella dittatura una forza politica prende legittimità dalla resistenza che conduce e in democrazia dai voti dei cittadini. I Mojahedin del popolo, con oltre 100mila martiri, lottano per rovesciare la dittatura in Iran e consegnare la sovranità al popolo. Chiunque è libero di fare ciò che vuole della propria carriera, ma ripetere le calunnie di un regime sanguinario contro donne e uomini che da decenni lottano per la libertà e la dignità umana è davvero troppo. Lede l’ontologia del giornalismo e spiana la strada alle scorribande del regime terrorista di Teheran. Suscita il sospetto di trovare infondate calunnie in ciò che scrive.
Aggiornato il 13 giugno 2025 alle ore 10:13