
Con una situazione di stallo nei colloqui sul nucleare, i funzionari israeliani sono passati da tranquilli preparativi a una prontezza semicelata ad agire
Israele colpirà gli impianti nucleari dell’Iran entro pochi giorni. Questa preoccupante conclusione emerge dalla convergenza tra allarmanti valutazioni di intelligence, il fallimento degli sforzi diplomatici e gli insegnamenti tratti dalla simulazione di scenari di guerra organizzata dal Middle East Forum (Mef) la scorsa settimana. La Defense Intelligence Agency del Pentagono avverte che Teheran è in grado di produrre “probabilmente in meno di una settimana” uranio arricchito di grado militare sufficiente per un’arma nucleare. Dalla prospettiva di Gerusalemme, questa tempistica ridotta non lascia praticamente alcun margine di errore. Il quinto round di colloqui nucleari tra Stati Uniti e Iran svoltosi a Roma ha cristallizzato l’impossibilità di una soluzione negoziata. La partenza dell’inviato speciale Steve Witkoff a metà riunione di venerdì 23 maggio, ufficialmente a causa del suo “piano di volo”, mentre il team di tecnici è rimasto lì, sta a indicare qualcosa di più di un problema logistico. La principale controversia rimane inconciliabile: Teheran insiste sul suo “diritto” di arricchire l’uranio a livello nazionale, mentre Washington esige una capacità di arricchimento pari a zero.
Questa strategica impasse convalida quanto osservato durante la conferenza politica annuale del Middle East Forum tenutasi a Washington, Dc, dal 19 al 22 maggio scorsi. La nostra simulazione di guerra, che ha riunito esperti politici di lungo corso e sostenitori del Mef per esaminare una crisi nello Stretto di Hormuz, ha dimostrato come i fallimenti diplomatici possano trasformarsi in azioni militari nel giro di poche ore. Il team iraniano ha sfruttato ogni esitazione, ricorrendo ai negoziati per portare avanti il proprio programma, mentre minava lo Stretto e rivelava un arsenale nucleare clandestino. Il fallimento diplomatico di venerdì a Roma suggerisce che questo schema prosegue nella realtà. Alla vigilia di questi colloqui, l’Iran ha adottato una misura straordinaria che dovrebbe allarmare qualsiasi osservatore serio. In una lettera al segretario generale delle Nazioni unite e all’Agenzia internazionale per l’energia atomica, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha minacciato di nascondere l’uranio arricchito in luoghi segreti se “le minacce dei fanatici sionisti dovessero persistere”. Teheran avrebbe attuato “misure speciali per la protezione dei suoi impianti e materiali nucleari”, una minaccia appena velata di spostare e trasferire i suoi materiali più sensibili celandoli al monitoraggio internazionale. I funzionari israeliani sono passati da tranquilli preparativi a una prontezza semicelata ad agire. Il capo del Mossad, David Barnea, e il ministro degli Affari strategici, Ron Dermer, sono volati a Roma in concomitanza con i colloqui di Witkoff, con l’obiettivo di ottenere note informative immediate su qualsiasi progresso. La loro presenza ha accentuato la determinazione di Gerusalemme a cogliere ogni sfumatura diplomatica mentre le opzioni militari rimanevano attive.
L’intelligence statunitense ha intercettato comunicazioni israeliane che segnalavano potenziali piani di attacco e ha osservato movimenti militari tangibili: il dispiegamento avanzato di munizioni specifiche, il completamento di importanti esercitazioni da parte dell’Aeronautica militare come indicatori di propensione ad attaccare. Come ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano Israel Katz, “l’Iran è più esposto che mai ad attacchi contro i suoi impianti nucleari. Abbiamo l’opportunità di raggiungere il nostro obiettivo più importante: contrastare ed eliminare la minaccia esistenziale”. La realtà operativa è scoraggiante. Qualsiasi attacco israeliano richiederebbe una campagna di una settimana mirata a diversi siti: il complesso di arricchimento di Natanz, l’impianto di Fordow, profondamente interrato, l’impianto di conversione dell’uranio di Isfahan e presunti siti di fabbricazione di armi. Israele ha metodicamente ridotto le capacità deterrenti dell’Iran: l’arsenale missilistico di Hezbollah sarebbe stato ridotto dell’80 per cento, le reti proxy siriane distrutte, Hamas isolato dopo la guerra di Gaza. Come ha dichiarato un funzionario della sicurezza israeliana, “gli alleati regionali dell’Iran sono a brandelli”. La nostra simulazione di guerra alla conferenza del Mef ha rivelato verità che ora si stanno facendo strada in tempo reale.
Quando le prove di arricchimento hanno innescato un’azione nella nostra esercitazione, gli eventi sono passati da interruzioni del segnale gps ad attacchi informatici fino a detonazioni nucleari nel giro di tre round compressi. Il ruolo di simulazione svolto dalla Cina si è rivelato particolarmente istruttivo. Pechino si è posta sia come protettore dell’Iran che come garante alternativo per la sicurezza degli Stati del Golfo, arrivando ad abbattere un aereo israeliano allo scoppio del conflitto. Ciò riflette la realtà attuale: la Cina continua a rifornire l’Iran attraverso le sanzioni, acquistando petrolio a prezzi scontati e posizionandosi per trarne vantaggio a prescindere dall’esito. Le recenti sanzioni imposte dal Tesoro americano hanno rivelato forniture cinesi di perclorato di sodio (un ingrediente chimico essenziale nella produzione di propellente solido per missili, ndt.) imbarcate sulle navi e destinate a rifornire gli arsenali iraniani, dirette a Bandar Abbas, lo stesso porto che ha subito una misteriosa esplosione nell’aprile scorso. Allo stesso modo, la Russia sfrutta la crisi per ottenere vantaggi strategici. Pur evitando un coinvolgimento militare diretto, Mosca potenzia le capacità dell’Iran e minaccia la vendita di sistemi avanzati di difesa aerea S-400, il che complicherebbe notevolmente le operazioni israeliane. Il team russo della nostra simulazione ha conquistato territori artici, mentre altri membri si sono concentrati sul Golfo: un classico opportunismo strategico che rispecchia l’approccio reale del presidente russo Vladimir Putin. La posizione del presidente Donald Trump elimina la confusione diplomatica optando per zero arricchimento o conseguenze.
Questa chiarezza, unita a un’implicita azione israeliana in caso di fallimento dei negoziati, rappresenta una strategia sofisticata mascherata da semplicità. Eppure la risposta di Teheran è stata un’escalation, non un compromesso. Il Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica (Irgc) ha dichiarato che Israele avrebbe ricevuto una “risposta devastante e decisiva” a qualsiasi attacco, mentre Araghchi ha avvertito che Washington sarebbe stata ritenuta giuridicamente responsabile in quanto “partecipante” a qualsiasi aggressione israeliana. Il problema fondamentale rimane strutturale. L’Iran considera l’arricchimento interno una sovranità non negoziabile; Israele e, in misura crescente, gli Stati Uniti, ritengono che qualsiasi arricchimento iraniano sia una minaccia esistenziale. I tentativi passati di colmare questo divario, in particolare il Piano d’Azione congiunto globale (Jcpoa) del 2015, hanno solo ritardato la resa dei conti, mentre l’Iran portava avanti il suo programma e perseguiva l’obiettivo dell’aggressione regionale. La nostra simulazione di guerra ha dimostrato che gli strumenti non cinetici (sanzioni, operazioni informatiche, attività di intelligence) funzionano solo se applicati tempestivamente con il sostegno internazionale. Una volta che l’Iran supera la soglia necessaria per produrre armi nucleari, queste misure da sole si rivelano insufficienti.
È emerso un paradosso: quando Israele ha preso seriamente in considerazione l’idea degli attacchi, l’Iran è passato dalla sfida all’urgenza di negoziare. La dimostrazione della volontà di usare la forza a volte fornisce l’unico impulso per un vero compromesso. I leader israeliani comprendono il prezzo che la loro nazione pagherà. I missili iraniani colpiranno Gerusalemme, Haifa e Tel Aviv. Gli Houthi intensificheranno i lanci di missili dallo Yemen. Le forze delle Guardie della Rivoluzione islamica si attiveranno ovunque contro le ambasciate israeliane e le comunità ebraiche da Buenos Aires a Bangkok. Il fronte interno subirà perdite e una guerra psicologica mai vista dal 1973. Tuttavia, qualsiasi primo ministro israeliano deve valutare attentamente questo costo terribile ma temporaneo contro la minaccia permanente di un Iran dotato di armi nucleari. Il successo richiede qualcosa di più dei soli attacchi. La nostra simulazione ha dimostrato che le strutture si ricostruiscono, la conoscenza sopravvive e la determinazione si rafforza sotto attacco senza una pressione prolungata. Israele deve piantare un chiodo nelle strutture nucleari, mentre l’America deve agire su tutto il resto: imponendo l’isolamento finanziario totale; indebolendo o compromettendo la capacità del sistema informatico di funzionare correttamente o in modo sicuro; attuando una penetrazione capillare dell’intelligence e applicando la quarantena diplomatica finché Teheran non abbandonerà completamente l’idea dell’arricchimento dell’uranio. L’ambiguità strategica di Washington, che tende la mano diplomatica mentre schiera bombardieri B-2 a Diego Garcia e trasferisce bombe “bunker buster” a Israele, ha molteplici scopi. Rassicura Gerusalemme, esercita pressioni su Teheran e mantiene la flessibilità. Tuttavia, questa ambiguità ha dei limiti.
I funzionari israeliani avvertono in privato che, in assenza di una svolta, colpiranno unilateralmente. Il contesto multilaterale che ha consentito gli accordi passati è andato in frantumi. La Russia si allea con l’Iran contro l’Ucraina. La Cina dà la priorità all’obiettivo di rimpiazzare l’influenza americana rispetto alla non proliferazione. L’Europa non ha influenza. Gli attori regionali si coprono le spalle. Questo lascia il grosso del lavoro a Washington e a Gerusalemme, con la mediazione dell’Oman preziosa ma in definitiva incapace di colmare le divergenze fondamentali. Come ha rammentato la giornalista e scrittrice iraniana naturalizzata statunitense Masih Alinejad ai partecipanti alla conferenza, gli iraniani meritano di meglio di un regime che costruisce centrifughe mentre i cittadini piangono per un pezzo di pane. Questa dimensione morale chiarisce la posta in gioco. Il regime non abbandonerà volontariamente le ambizioni nucleari, la nostra simulazione di guerra lo ha dimostrato, la storia lo conferma e l’intelligence israeliana lo convalida. Tutti gli indicatori puntano verso un’azione militare entro pochi giorni. La partenza di Witkoff da Roma, i rapporti di intelligence sulle minacce di trasferimento dell’uranio, il deterioramento delle reti di proxies iraniani e la prontezza militare israeliana convergono verso un’unica conclusione.
Secondo il Times of Israel, il primo ministro Benjamin Netanyahu “sta aspettando che i colloqui sul nucleare falliscano e che in questo momento Trump sia deluso e disposto a dargli il via libera”. Questo momento è di fatto arrivato. Lo strappo dell’Iran mette a dura prova l’utilità di proseguire i negoziati. Ogni round fa guadagnare tempo a Teheran, mentre la pazienza di Gerusalemme svanisce. La frase che circola negli ambienti militari israeliani è di una semplicità agghiacciante: ora è una questione di giorni, non di settimane. Vorrei che non fosse così. Vorrei che la sola diplomazia potesse garantire i nostri interessi e la sopravvivenza di Israele. Ma desiderare non serve a nulla contro un regime che minaccia l’annientamento e al contempo persegue i mezzi per raggiungerlo. Il mondo potrebbe presto svegliarsi con la notizia delle esplosioni nei siti nucleari iraniani, un momento cruciale che metterà alla prova la determinazione dell’Occidente a prevenire la proliferazione nucleare attraverso una pressione sostenuta che combini l’azione militare israeliana con un isolamento globale guidato dagli Stati Uniti. L’alternativa è rappresentata dalle armi nucleari iraniane, dalla conflagrazione regionale e dai guadagni strategici di Cina e Russia a spese degli Stati Uniti. A volte l’inazione mascherata da prudenza si rivela più pericolosa. La settimana scorsa ha messo alla prova tale verità. Che i nostri leader possano interiorizzare queste lezioni prima che il tempo scada e che noi possiamo avere la determinazione di capire ciò che deve essere fatto.
(*) Tratto dal Middle East Forum Observer
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 29 maggio 2025 alle ore 09:54