
In occasione di qualche pubblico intervento e private conversazioni, è accaduto di manifestare il mio pessimismo circa il futuro dello Stato d’Israele. Più o meno: noi e la prossima generazione siamo fortunati: non ne vedremo la rovina. La successiva, la terza, forse questa fortuna non l’avrà.
Affermazione seguita da sguardi increduli e interrogativi. Qualche obiezione: “Israele ha l’atomica”. Una “soluzione” simile a quella di Sansone e i Filistei non è esattamente una soluzione. Ad ogni modo non è questa la questione che intendevo e intendo porre.
Sono le tante persone sinceramente commosse, preoccupate, inorridite per quello che accade ed è accaduto a Gaza. Sarebbe banale chiedersi perché non si prova analoga commozione, preoccupazione, indignazione per i tanti massacri di esseri indifesi e di umanità che si consumano in tante parti del pianeta. Questa del dolore e della riprovazione selettiva è una domanda che va posta, ma quale che possa essere la risposta, non risolve la questione da cui si parte: la possibile, probabile estinzione dello Stato d’Israele.
Si può partire da una frase attribuita alla laburista Golda Meir (quando si dice il caso: nata a Kyiv, Ucraina), donna d’acciaio di cui purtroppo sembra essersi smarrito lo stampo, per molti anni primo ministro d’Israele. La frase è questa, rivolta agli arabi: “Noi vi potremmo un giorno perdonare per aver ucciso i nostri figli. Ma non vi perdoneremo mai per averci costretto a uccidere i vostri”.
Questa “incapacità” di perdonare, giorno dopo giorno, viene meno: molti, in Israele, si perdonano per essere costretti a uccidere i “loro” figli, a Gaza e altrove. Questa è la fine d’Israele. L’inizio della sua fine. È più chiaro, ora, cosa si intende dire?
Veniamo all’oggi.
Si ipotizzi che scatti l’auspicato, invocato, “cessate il fuoco”. Ora, subito. Qualcuno ha idea di chi si farà carico del “dopoguerra”? Nessuno può chiedere a Israele di consentire ad Hamās di riprendere fiato e tornare a “governare” la striscia di Gaza come ha fatto prima del 7 ottobre. Ingenuo pensare che i cosiddetti palestinesi “moderati” (Anp) possano sostituirsi ad Hamās. Intanto perché non è ben chiaro di quale “moderazione” si parla; poi perché l’attuale leadership dell’Anp, la corte attorno ad Abu Mazen, non ha alcuna credibilità agli occhi dei palestinesi: non a Gaza, non in Cisgiordania. Dunque?
C’è chi ipotizza che ad assumere il controllo politico/militare di Gaza sia una forza multinazionale: paesi arabi come Egitto, Emirati Uniti, Arabia Saudita. A prescindere dal fatto che difficilmente l’Iran resterebbe a guardare, qualcuno ha sondato gli umori del Cairo, di Abu Dhabi, Riyad? C’è qualcosa di concreto che si muove in questa direzione?
A questo punto si chiamino le cose con il loro nome. Un po’ tutti lasciano che la patata bollente la sbucci Israele: che si faccia carico della gestione di Gaza, che faccia quel lavoro “sporco” che nessuno vuole fare e che un po’ a tutti fa comodo.
L’Occidente, l’Unione Europea, come una giaculatoria, recitano: “Due popoli, due Stati”. Neppure l’accortezza di dire: “Stati democratici”.
Qualcuno comunque provi a chiarire: con chi si dovrebbe trattare la costituzione dello Stato palestinese che dovrebbe convivere pacificamente con Israele? Con Hamās? Con l’Anp?
La frase di Golda Meir prosegue così: “Una possibilità di pace esisterà solo quando gli arabi dimostreranno di amare i propri figli più di quanto odino noi”.
Chissà perché questa parte di solito si “perde”.
Più che chiedere a Israele di smettere di fare quello che fa e condannare quello che ha fatto, si dovrebbe immaginare e suggerire cosa fare, e cercare di farlo. Qualcuno ha proposte concrete in luogo delle “buone intenzioni”, con cui si lastricano le ben note strade infernali?
Aggiornato il 07 maggio 2025 alle ore 10:23