Il futuro di Gaza oltre Israele

Per la serie, cronaca di una storia già scritta, ossia che lo Stato di Israele da quando fu fondato non avrebbe mai potuto convivere con gruppi di palestinesi, i quali in verità non sono mai riusciti a creare un effettivo Stato palestinese sia prima della nascita di Israele sia dopo la sua fondazione. Ciò si è verificato anche grazie all’indifferenza dei loro sedicenti “amiciarabi, i quali, forse, molto più degli stessi israeliani non si sono mai realmente preoccupati né di aiutare i palestinesi a creare un solido stato laico e tantomeno a prendere in considerazione l’accoglienza dei profughi palestinesi. Lo stato dell’arte dei palestinesi segregati nella striscia di Gaza è drammaticamente disumano, le responsabilità sono molteplici. Invero, questa vergogna reiterata si è determinata a causa sia dell’incapacità degli stessi palestinesi di affidare il proprio governo ad una forza politica laica e moderata, e non a dei terroristi come Hamas da un lato, e dall’altro lato a causa della cinica politica espansionistica di Israele, che di fronte alla sua sopravvivenza e alla sua visione irredentista non guarda in faccia a nessuno, neanche i propri cittadini ostaggi di Hamas.

Pertanto, il governo israeliano guidato da Benjamin Netanyahu ha approvato un piano che segna una nuova e drammatica escalation nella guerra di Gaza: l’occupazione permanente di ampie porzioni della Striscia da parte delle forze armate israeliane. La decisione, assunta ufficialmente dal gabinetto di sicurezza, formalizza ciò che finora era stato oggetto di mere ipotesi o analisi: la possibilità concreta di un ritorno stabile e duraturo dell’Israel defense forces (Idf) all’interno dei confini palestinesi. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, il piano autorizza le Idf a prendere il controllo di territori nel cuore della Striscia, attuare spostamenti forzati della popolazione civile verso sud, colpire Hamas e impedire al gruppo di appropriarsi degli aiuti umanitari. Il progetto prevede l’occupazione graduale, quadrante per quadrante, con l’obiettivo di garantire un controllo totale sul territorio e sulle rotte dell’assistenza internazionale, ferma da mesi in un contesto umanitario ormai disastroso. Israele si riserverebbe un ruolo esterno nel sistema di distribuzione degli aiuti, affidato formalmente a soggetti terzi, ma sotto costante vigilanza militare. Un sistema che sancisce il principio “dell’occupazione di sicurezza”, concetto che fino a ieri restava al margine del linguaggio ufficiale e oggi entra a pieno titolo nel lessico politico e strategico dello Stato ebraico.

Questa mossa sembra puntare a consolidare l’idea di una ri-annessione di fatto della Striscia, almeno in parte, inserendosi in un quadro più ampio di espansione territoriale che include l’attività dei coloni in Cisgiordania e la creazione di “zone cuscinetto” in Libano e Siria. Il messaggio è chiaro: Israele non intende più ragionare nei termini di una soluzione a due Stati, ma vuole imporre un nuovo ordine regionale in cui il controllo unilaterale e permanente dei territori palestinesi diventa la norma. La strategia, fortemente sostenuta dalle componenti più nazionaliste del governo, punta anche a rafforzare la posizione negoziale di Tel Aviv nei futuri colloqui, già oggi in stallo. La mediazione del Qatar fatica a ottenere risultati concreti, mentre gli accordi di cessate il fuoco, come quello del 17 gennaio, appaiono ormai superati. La clausola che prevedeva il ritiro delle truppe israeliane da Gaza è diventata lettera morta, e il futuro dei 24 ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre sembra sempre più marginale nell’agenda dell’Esecutivo. Lo stesso capo di Stato Maggiore dell’Idf, il generale Eyal Zamir, ha lanciato un monito: una nuova escalation potrebbe compromettere definitivamente ogni possibilità di recupero degli ostaggi. Ma la priorità del governo sembra oggi concentrata sull’obiettivo strategico della lunga guerra e sul disegno di un nuovo assetto territoriale in Medio Oriente.

Al postutto, resta da chiedersi quale sarà il prezzo di questa espansione militare e politica: per i civili palestinesi già stremati, per la fragile stabilità della regione e per lo stesso Stato di Israele, sempre più isolato sul piano diplomatico e contestato da parte della comunità internazionale, con dei cittadini ostaggi delle atrocità dei terroristi di Hamas e sempre più condannati a non essere più liberati.

Aggiornato il 07 maggio 2025 alle ore 11:34