Il lavoro “nero”: crescete e moltiplicatevi!

Nel caso dell’Africa si deve parlare di emigrazione “da” o “di” un continente? Infatti, i numeri e i trend sono tali da far pensare a una sorta di traslazione di un insieme più grande che, per proprietà matematiche, si trasferisce per intero in uno molto più piccolo e, per giunta, sovraffollato. In realtà, per i continenti, questo processo funziona come un sistema a vasi comunicanti, per cui qualora in uno di essi si produca un calo drastico della natalità nelle regioni più benestanti del globo, allora per definizione l’eccesso di nascite presente negli altri invasi andrà in un tempo sufficiente a pareggiare il livello complessivo, per ripristinare l’equilibrio iniziale. I dati di questo trend parlano chiaro: aggiornato al 2024, il quadro di riferimento ci dice che almeno 20 milioni di emigranti africani risiedono al di fuori del loro continente, il cui numero pertanto è ben superiore alle altre due diaspore indiana e cinese. Di questi, all’incirca 10 milioni di emigrati africani vivono attualmente in Europa, ma i numeri delle presenze relative sono in costante declino dal 1990, mentre risultano in aumento in altre aree del mondo, come Usa, Cina, Arabia Saudita e Turchia. Resta da capire, nel medio lungo periodo, se questa migrazione continentale sia un bene o un male, e se sia possibile arrestarla (valutandone attentamente i costi) con l’inasprimento delle politiche migratorie, come sta accadendo un po’ ovunque. Per cui, in primis, vanno attentamente valutati i trend che vedono in costante diminuzione nei Paesi occidentali le persone in età da lavoro, ricomprese nella fascia 15/65 anni.

Una corretta analisi dei fenomeni ci dice, tuttavia, che più cresce il livello medio di reddito e aumenta contestualmente il tasso di invecchiamento all’interno di Paesi emergenti, esportatori netti di giovani lavoratori, come Filippine e Messico, maggiore si rivela (ovviamente) la tendenza a non emigrare. Quest’ultima, si riduce drasticamente quando il reddito medio individuale si attesta al di sopra della soglia critica dei 10mila dollari annui pro capite. Ma, per ancora alcuni decenni, questa inversione di tendenza non investirà l’Africa, vista la sua irrefrenabile crescita demografica incontrollata che, secondo le recenti proiezioni, vanterebbe un attivo nel 2050 di ben 700 milioni di persone in età da lavoro. Ora, questa gigantesca spinta a emigrare si avvale di un altro fenomeno di tipo economico, riguardante le fasce di popolazione che sono sì povere, ma dispongono pur tuttavia di sufficienti risorse per potersi pagare il costo del viaggio verso Paesi lontani, alla disperata ricerca di forza lavoro. E tutto ciò accade per il semplice motivo che l’economia attuale dei Paesi africani è appena in grado di creare, al più, solo un quinto dei posti necessari ad assorbire i nativi in età da lavoro. Ovviamente, perdurando le attuali condizioni di povertà all’interno dell’Africa, sarà molto difficile, se non impossibile, riuscire a contenerne la fortissima pressione migratoria verso le aree a maggior benessere del pianeta. Tuttavia, questa tendenza rischia alla lunga di creare danni irreversibili agli stessi Paesi di origine, che vedono emigrare le persone più motivate a migliorare la propria condizione economica, cercando lavoro all’estero.

L’Africa viene così impoverita della sua migliore gioventù, visto che milioni di giovani laureati e diplomati decidono di emigrare in Europa, come accade per quei medici e paramedici africani che sono stati strutturati nel sistema sanitario inglese, per colmare i vistosi vuoti dell’organico nazionale. Questo fenomeno negativo dello spopolamento di classi agiate e professionalizzate è destinato a farsi sentire nel medio termine, soprattutto in quei Paesi africani che perdono laureati pur avendo un basso tasso di alfabetizzazione. In altri casi, come per l’autocratico Zimbabwe, l’emigrazione delle fasce più colte e benestanti rappresenta una protesta silenziosa contro il loro progressivo impoverimento a opera del regime. Del resto, osservando attentamente l’altra faccia della medaglia, è pur vero che statisticamente i diplomati africani sono sotto impiegati nei loro Paesi di origine, mentre una volta emigrati Oltreoceano rappresentano fonti primarie di approvvigionamento in valuta estera, grazie alle loro rimesse, per cui un giovane medico laureato invia in patria il doppio delle risorse investite per la sua formazione.

Il secondo, positivo aspetto della migrazione intellettuale africana è rappresentato dal fattore di “brain gain”, che offre cioè stimoli significativi per i giovani talenti ad acquisire nel proprio Paese un titolo di studio considerato “spendibile” sui mercati internazionali dei lavori ad alta professionalità. Questa diaspora dei cervelli, tra chi rimane e chi se ne va, è del tutto salutare, in quanto coloro che soggiornano a lungo all’estero si fanno portatori di valori alternativi a quelli praticati in molti regimi autocratici africani. Per di più, contribuendo con le loro rimesse al benessere economico interno, affrancano le proprie famiglie dalla dipendenza degli aiuti di Stato, dando una mano a sostenere l’opposizione interna nei regimi africani corrotti e clientelari.

Così, sempre più spesso gli Stati africani sono chiamati a cogliere l’occasione del “brain gain” come una sorta di “marchio da esportazione”, per massimizzare i benefici dell’esodo dei propri “cervelli”, minimizzando i costi sostenuti per la loro formazione. Esemplare, in tal senso è l’accordo di scambio, sottoscritto tra Kenya e Germania, in cui Nairobi ha accettato di accelerare le pratiche di rientro dei propri migranti illegali, in cambio dell’aiuto di Berlino a formare in loco lavoratori regolari keniani, aventi titolo per l’espatrio, con corsi di lingua tedesca e di aggiornamento professionale. L’Africa, in particolare, dovrebbe seguire l’esempio sia dell’India, incoraggiando il rientro di lavoratori qualificati che si sono specializzati all’estero; sia delle Filippine che hanno utilizzato l’emigrazione di infermiere qualificate per investire parte delle loro rimesse nell’ampliamento dei posti disponibili nelle scuole nazionali di scienze infermieristiche. Ovviamente, le migrazioni massive dall’Africa preoccupano i governi occidentali a causa della reazione negativa delle loro opinioni pubbliche, come quella conservatrice americana che condivide la massima trumpiana, per cui “se importi terzo mondo, diventi tu terzo mondo”. In futuro, conterà la realtà dei fatti, tenuto conto che gli immigrati regolari negli Stati Uniti tendono a comportarsi molto meglio degli autoctoni, condividendo i valori americani di libertà e di opportunità. In futuro, non sarà, quindi, il colore della pelle a influenzare le migrazioni ma la loro “qualità”!

Aggiornato il 06 maggio 2025 alle ore 09:42