Trump e l’Europa

Non accontentandosi di interloquire negli studi televisivi a proposito della vicenda dei dazi che ha contrapposto Stati Uniti ed Europa, qualche giornalista ha pensato di chiedere ad un ospite qualificato di esprimersi addirittura sulla postura che Donald Trump e Ursula von der Leyen avevano assunto mentre si incontravano per discutere la questione. La fotografia dei due ha riempito le pagine dei quotidiani: non alla Casa Bianca, ma in Scozia, in una saletta di un circolo di golf di sua proprietà, mentre Trump troneggiava sulla poltrona a gambe larghe, occupando gran parte dello spazio disponibile, la presidente della Commissione se ne stava quasi rannicchiata su se stessa, esiliforme. Se ne traeva perciò spunto in studio per notare che il primo si comportava da padrone e la seconda da subordinata; il primo come fosse la vera autorità, la seconda come una dipendente in attesa di un giudizio. Da qui, le critiche astiose verso il comportamento di von der Leyen, accusata di eccessiva arrendevolezza, dovuta – così si ripete da ogni parte – al fatto che essa rappresenta ben 27 Stati diversi, ciascuno con i propri interessi, mentre Trump gode della forza derivante dalla ragguardevole vittoria elettorale negli Stati Uniti. Ciò che va qui stigmatizzato non è tanto l’evidente dislivello fra i due personaggi, quanto la preoccupante circostanza secondo la quale i critici nostrani riescono a dire come stanno oggettivamente le cose, ma senza capire perché: non so se sia più drammatico o comico.

Cerco di sintetizzare alcuni punti fermi. È semplicemente ridicolo lamentare una differenza di livello politico, economico, militare fra Usa ed Europa, affermando – come hanno fatto molti politici italiani ed europei – che la seconda si è posta in situazione di sudditanza rispetto ai primi. Questi signori sembrano ignorare che purtroppo la sudditanza è nei fatti, quale portato storico del Secondo dopoguerra, e che perciò lamentarsene rappresenta qualcosa di simile al comportamento denunciato da Paul Valéry, quando osserva che “o non ci vedete o fingete di non vederci: ogni fede ha come ausiliaria la malafede”. Intendo dire che anche soltanto immaginare che l’Europa possa porgersi in una posizione di parità con gli Usa è assurdo. E ciò per il semplice motivo che l’Europa, che avrebbe ben potuto costruirsi  decenni or sono come Stati Uniti d’Europa – se avesse seguito gli auspici dei suoi padri fondatori: Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schumann – ha rinunciato alla sua anima, preferendo, nell’ottica del nefando Manifesto di Ventotene, divenire quel che oggi è: un’aggregazione elitaria di Stati diversi, uniti da una pletora di regole finanziarie, economiche, organizzative, bancarie, ove domina incontrastata una cieca burocrazia tanto impersonale quanto perniciosa.

L’Europa di oggi è priva di soggettività politica. Basti pensare che von der Leyen, non votata da nessuno degli europei, interloquisce con Trump, il quale invece ha ricevuto una enorme legittimazione politica da decine di milioni di elettori americani. Per altro verso, il Parlamento europeo – unico organismo che è espressione elettorale dei popoli europei – non conta nulla e, privo di poteri normativi, sta alla finestra ad osservare gli sviluppi di una azione (di una in-azione) politica svolta da chi non ha alcun mandato popolare. Ha davvero torto il vicepresidente J.D. Vance quando afferma che i governi europei hanno “paura” dei loro elettori? E allora perché mai Europa e Usa dovrebbero porsi in posizione di eguaglianza, come comicamente preteso da tanti politici, al punto da predisporre un “bazookadi ritorsione nell’ambito dei dazi, provocando una devastante reazione a catena?

Ciò sarebbe stato possibile se, ridimensionando le preoccupazioni legate allo spread o agli interessi bancari (ma Altiero Spinelli non l’avrebbe permesso!), gli Stati Uniti d’Europa fossero nati dalle macerie della Seconda Guerra mondiale, collocandosi quale seconda gamba politicamente riconoscibile di un atlantismo equilibrato fra le due sponde dell’oceano. Invece, l’Europa per ottant’anni ha fatto il pesce in barile in tema di difesa, di protezione dei mercati occidentali, di aiuti al terzo mondo, di rappresentatività politica: ci penseranno gli americani! Perciò, coloro che hanno contribuito in maniera determinante alla destrutturazione dell’Europa, e che oggi si stracciano le vesti pretendendo una parificazione con gli Usa, incappano in un paradosso: costoro vogliono che una persona non votata da nessuno (von der Leyen) abbia la meglio su chi gode della legittimazione di decine di milioni di voti (Trump).

Ovviamente, in nome del popolo! Quale?

Aggiornato il 05 agosto 2025 alle ore 09:45