Abolire il Codice degli appalti

Ubi commoda, ibi incommoda, ripetevano i vecchi giuristi ancora impastati della buona linfa del diritto romano, oggi troppo spesso dimenticata. Volevano dire una cosa semplicissima e cioè che colui che gode dei vantaggi (“commoda”) di una determinata situazione – qualunque essa sia, purché ovviamente lecita – deve sopportarne anche gli svantaggi (“incommoda”) che ne potrebbero derivare. Si tratta di un elementare principio di giustizia, percepibile nella sua portata anche da chi non abbia seguito studi giuridici e che oggi andrebbe adottato, se davvero albergasse nel pensiero dei politici di ogni colore il desiderio di cambiare in modo radicale e efficace il sistema attuale che governa la realizzazione delle opere pubbliche, oltre che naturalmente il necessario coraggio. Intendo dire del coraggio e del desiderio di abolire in modo definitivo il Codice degli appalti e non solo di riformarlo, perché in Italia ogni riforma con intenti di semplificazione finisce per complicare di molto ogni fattispecie. In proposito, si ricordi la Legge Bassanini di molti anni fa, la quale, nata per semplificare le procedure amministrative, finì col complicarle ancor di più, anche perché occorreva prima decodificare proprio il tessuto normativo della legge stessa, quanto mai intricato e contorto.

E perciò, memori di simili lezioni, niente riforma del Codice degli appalti: pura e semplice abolizione completa e definitiva, senza eccezioni. Infatti, come ha spesso ripetuto Raffaele Cantone nella qualità di presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, la corruzione alligna e prospera nelle pastoie burocratiche, in quel sottile e tenace reticolo di rimandi, pareri, autorizzazioni, vidimazioni, registrazioni e via dicendo che di ogni procedura amministrativa rappresentano la reale consistenza. E massimamente nel Codice degli appalti, un vero orrore procedurale, fitto di regole ed eccezioni, diritti subordinati a oneri che a loro volta presuppongono degli obblighi, mentre fioriscono i subappalti germinando indisturbati e moltiplicando problemi e interpretazioni divergenti, esemplate da eccezioni e da eccezioni delle eccezioni. Insomma, un ginepraio inestricabile e, proprio per questo, un eccellente terreno di coltura per corruzione, traffici illeciti, tangenti dirette o indirette. Non solo. Più si riforma aggiungendo norme a norme, più si creano nuovi spazi occupabili da condotte illecite che, a lor volta, ne propiziano altre ancor più illecite e pervasive. A Milano – oggi agli onori della cronaca – probabilmente non stavano facendo altro che cercare di districarsi fra norme nazionali, norme regionali e regolamenti comunali, i quali, fra l’altro, sono tutti diversi da comune a comune: un’opera quasi impossibile che pochissimi saprebbero condurre a buon fine. Provate a chiedere a qualche amico ingegnere o architetto e ne avrete conferma fino a superare la soglia del comico. Tempo fa un amico ingegnere che aveva in corso una ristrutturazione di una villetta – dopo aver scrupolosamente osservato tutte le norme vigenti – aveva bisogno di chiudere una finestra la quale, fra l’altro, non dava sulla pubblica via, ma all’interno di un giardino del medesimo proprietario.

Dopo mesi e mesi di tentativi risultò impossibile percorrere una via certamente legale, anche per il tecnico comunale che ne seguiva l’opera. Alla fine, fu proprio costui – ormai sconfitto dalle procedure - a dargli un consiglio surreale per venir fuori da una situazione senza uscita: chiudere la finestra sulla parete interna – come era necessario fare per il proprietario – ma lasciandola come cornice puramente fasulla sulla parete esterna: insomma, una finestra all’esterno ma una non-finestra all’interno. E così il comune approvò il manufatto e l’ingegnere potè continuare i lavori. Divertente ed insieme istruttivo. Cosa fare? Come si è fatto per fortuna a Genova per la ricostruzione del ponte. Affidare ad un commissario “ad hoc” la realizzazione di ogni opera pubblica, dopo aver bruciato in un pubblico rogo il Codice degli appalti. Costui si vedrà fiduciariamente assegnare un compito preciso, dei fondi adeguati ai lavori da eseguire, un tempo determinato per eseguirli e sarà libero di negoziare privatamente con l’impresa che riterrà meglio possa garantire il buon esito dei lavori sotto la sua personale responsabilità civile e penale: inoltre godrà di una indennità di grande spessore, poniamo il 5 per cento del valore dell’opera da eseguire. Certo, costui rischierà molto, anche la pena della reclusione in caso di illeciti perfino altrui, ma, proprio per questo, guadagnerà molto: appunto, Ubi commoda, ibi incommoda. Garantito: nessuno spazio per la corruzione.

Aggiornato il 25 luglio 2025 alle ore 09:50