
Se dal punto di vista militare la questione ucraina è purtroppo ancora lungi dall’essere risolta (la pace resta infatti un auspicio dell’Occidente ma non una priorità della Russia, anzi), dal punto di vista politico la soluzione del nodo ucraino sta facendo promettenti passi avanti. I paletti sono stati fissati e sono stati posti alcuni punti fermi: l’Ucraina è Europa e dall’Europa (come pure dalla Nato) verrà sostenuta a oltranza, sia nella sua indipendenza (ma questo era il minimo) sia nella sua sovranità politica decisionale, che riguarda tutto ciò che è nelle prerogative di una nazione e delle sue istituzioni, dalle alleanze internazionali all’identità culturale, dall’autonomia economica fino alle forze armate. Ecco, questo è il nocciolo politico su cui l’Occidente non può – pena la dissoluzione dei suoi princìpi fondamentali – deflettere: la libera scelta di campo internazionale e l’esistenza dell’esercito ucraino. La Russia pretende un’Ucraina isolata e smilitarizzata, perché un minuto dopo ne farebbe un sol boccone. Rivedremmo vecchi fotogrammi della storia: la Germania nazista che si annette l’inerme Cecoslovacchia o che si spartisce con la Russia sovietica l’indebolita Polonia. E quindi l’Europa farà tutto ciò che è necessario affinché quegli scenari non possano riproporsi.
Nonostante i pesanti rovesci sul fronte militare, l’impianto politico a supporto dell’Ucraina sembra dunque essersi consolidato, come dimostrano le recenti deliberazioni della coalizione che ne affronta i problemi sia di ordine geopolitico (il gruppo dei “volonterosi”) sia di ordine economico, strutturale e culturale (il gruppo per la ricostruzione dell’Ucraina), tutti di alto valore strategico e simbolico.
Come ha rilevato il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante il quarto incontro degli stati, degli organismi e delle organizzazioni internazionali, nonché delle imprese, a sostegno del futuro dell’Ucraina, riunitisi a Roma settimana scorsa, alla guerra d’aggressione russa occorre rispondere non solo con le armi ma anche con lo spirito, e la collaborazione fra nazioni occidentali e nazione ucraina mostra come l’eroismo del popolo ucraino sia di sprone all’Occidente per aiutarlo a «costruire quel futuro di pace, di libertà, di sovranità che la Russia con la sua guerra di aggressione vorrebbe negare, e che invece il popolo ucraino continua a difendere con un orgoglio e con una determinazione che sono un esempio per tutti noi». Meloni elenca i tre obiettivi fondamentali – pace, libertà, sovranità –, raggiungibili solo se si mantiene il quadro di unità e di forza del mondo occidentale.
Fin da febbraio 2022, quando era ancora all’opposizione, Meloni ha preso le parti dell’Ucraina e, con coerenza, ha tenuto il punto, come si vede da una manifestazione di stima che va al di là della contingenza bellica e politica: «il popolo ucraino ha guardato dritto negli occhi il proprio nemico e ha scelto di combattere. E non ha scelto di combattere perché ama il conflitto; ha scelto di combattere perché ama quello che sta difendendo, perché sa vedere oltre quel conflitto. È questo che ha permesso all’Ucraina di continuare a vivere, a produrre, a innovare, a cercare una luce anche nell’oscurità più profonda. Il nostro compito è aiutare l’Ucraina, e lo faremo, a scrivere questo nuovo capitolo della sua storia, per amore di giustizia e come monito per il futuro».
E con saggio realismo, alla riunione londinese dei Volonterosi ha affermato: occorrono «pressione e deterrenza, perché questo è ciò che dobbiamo conseguire, e questo è ciò che le vittime innocenti e le loro famiglie si aspettano da noi. Una popolazione che vuole ricostruire; ma è anche ciò che i nostri cittadini, stanchi delle conseguenze di un’aggressione insensata che ha riportato la guerra nel cuore dell'Europa, ci chiedono».
Nella complessità dell’attuale caos geopolitico, l’orientamento di Meloni è esemplare, sia perché riesce a unire le istanze strategico-militari con quelle spirituali, le esigenze economico-politiche con quelle culturali, sia perché riesce a tenere insieme la nuova (e in sé spesso contraddittoria) rotta statunitense impressa dall’Amministrazione Trump con i tradizionali schemi dell’Unione europea.
Da premier con lunga esperienza politica, Giorgia Meloni sa che è soprattutto nelle fasi di crisi che bisogna tenere i nervi saldi e agire con razionalità, a differenza di ciò che altri – in Europa e America – stanno facendo in questi mesi. Meloni sa bene che intorno all’epicentro rappresentato dall’Ucraina e alla più ampia area costituita dall’Europa nel suo insieme si sta combattendo una guerra militare, politica e anche culturale così intensa come non si vedeva dai tempi più aspri della guerra fredda. E sa che in tempo di guerra, all’interno delle singole nazioni le parti politiche si uniscono a protezione della patria o, come in questo caso, a difesa dell’istituzione che raggruppa le singole nazioni europee. Solo gli idioti (più o meno utili) o le quinte colonne del nemico lavorano per dividere e indebolire ciò che invece oggi va difeso. Ci sarà tempo e modo, dopo la fine della guerra in Ucraina o almeno della sua punta più cruenta, per ridare fiato alla dialettica politica, perfino a quella più virulenta, come è giusto e fisiologico che sia. Ma oggi no, almeno entro certi limiti.
Un esempio di questa consapevolezza: risalgono al marzo scorso ma sono di piena attualità le affermazioni del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, senatore Giovanbattista Fazzolari, che ha espresso solidarietà alla parlamentare europea del Pd Pina Picierno per «gli ignobili insulti che le sono stati rivolti sulla tv di Stato russa dal propagandista putiniano Vladimir Solovyev. Gli improperi di personaggi di tale risma, abituati a piegare la realtà e il buonsenso alla propaganda di regime, sono una medaglia per chi li riceve». Così si deve fare; e così il Governo Meloni fa, in Italia e in Europa, come dimostra, fra l’altro, anche la scelta di sostenere Ursula von del Leyen nel recente caso della scriteriata mozione di censura avviata da un membro dello stesso gruppo parlamentare a cui afferisce Fratelli d’Italia e di cui Meloni è stata presidente fino allo scorso anno. Coerenza, a ogni costo, anche perché altrimenti ad approfittarne sarebbe quello stesso «nemico» che ha invaso l’Ucraina e con il quale serve soprattutto forza di deterrenza.
Dal punto di vista del Cremlino, se l’Unione europea stanziasse truppe di peacekeeping in Ucraina, la Russia lo considererebbe un atto di guerra. Ma se la Russia schiera, come ha realmente fatto, oltre diecimila soldati nordcoreani a combattere sul campo contro l’Ucraina, questo è accettabile. No, qualcosa non torna. Per la Russia, i suoi interessi sono intangibili, mentre quelli altrui non esistono. Ma fino a che punto questa aberrante (e anche fallace) logica può spingersi?
Un limite va assolutamente posto, con chiarezza e con urgenza, perché altrimenti la Russia si sentirà autorizzata a proseguire nella conquista di territori geografici e di spazi politici, con una correlata e corrispondente perdita da parte europea: tanto più l’Europa si mostra debole, tanto più la Russia si sente forte; e tanto più quest’ultima si espande, anche in senso politico, tanto più l’Europa si contrae, in tutti i sensi. Equazione infernale, esito catastrofico.
È come se Putin dicesse: io sono io, e voi europei invece, non siete nulla. Il Cremlino non vuole truppe europee in Ucraina, non vuole l’Ucraina nell’Ue e tantomeno nella Nato, ma esso si permette tutto: l’uso di missili e droni iraniani, di missili ipersonici, forse anche di armi chimiche, il bombardamento sistematico di abitazioni civili e ospedali, il massacro di donne e bambini, la disgregazione dell’identità stessa di un popolo. E poi strepita minaccioso dicendo che è in pericolo l’esistenza stessa della Russia. Come nella favola del lupo e dell’agnello: qualsiasi pretesto è buono per divorare l’Ucraina. E se l’Europa non agisce tempestivamente e decisamente, la vicenda finirà come nella favola. Quando tutte le argomentazioni pretestuose cadranno, la Russia dirà alla sventurata Ucraina: ti abbatto semplicemente perché sono più forte. Questa è l’essenza della questione: la Russia vuole annettersi l’Ucraina, e se non riuscirà a papparsela tutta, prenderà alcune porzioni di territorio, tentando nel contempo di inquinare le elezioni per ottenere un governo servizievole come quello bielorusso. Quando si dissolverà il velo di menzogna e disinformazione, la Russia putiniana apparirà per ciò che è sempre stata: la prosecuzione del regime sovietico sotto nuove vesti.
Ma grazie al mondo occidentale, l’Ucraina è ancora in vita e può immaginare un futuro di libertà e prosperità. La storia insegna. Nel 1947, il Segretario di Stato George Marshall rese noto il suo Piano per la ricostruzione dell’Europa dopo la devastazione della seconda guerra mondiale, e di lì a poco il piano fu implementato, con gli esiti straordinari che tutti gli riconoscono. Oggi, per l’Ucraina si sta concretizzando un piano analogo. Anche le denominazioni sono sostanzialmente identiche: European Recovery Program; Ukraine Recovery Conference. I simboli contano.
Pur nelle differenze di scenario, storiche e politiche (tra l’altro, oggi la sponda americana è molto meno determinata e meno affidabile di allora), le analogie strutturali fra i due piani sono evidenti, e ruotano intorno a un concetto: insieme. Together, sosteneva Marshall, perché era convinto che solo agendo congiuntamente e conservando l’unità, le due sponde dell’Atlantico avrebbero potuto vincere la sfida della ricostruzione e risollevarsi dopo la catastrofe bellica, tenendo anche testa all’Unione Sovietica. Oggi, e da molto tempo, la tesi geopolitica centrale di Giorgia Meloni è che l’Occidente si salva soltanto se resta unito, se, appunto come affermava il generale Marshall, Europa e Stati Uniti operano in sintonia, anche nei confronti della Russia. Ciò non deve impedire alle nazioni europee di criticare scelte trumpiane sbagliate e dannose (come gli sciagurati dazi, capitolo doloroso e, temo, appena iniziato) o agli Stati Uniti di fare eventualmente altrettanto, ma il criterio è stabilito: marciare uniti.
Se dunque il Piano Marshall aveva come faro operativo il concetto di «insieme», e se Meloni è stata la prima fra i leaders occidentali (e finora purtroppo l’unica, ma si spera venga imitata presto dagli altri) a sostenere con forza la necessità di un Occidente unito, allora il piano per la ricostruzione economica, sociale e culturale dell’Ucraina dovrà chiamarsi Piano Giorgia Meloni. Del resto, anche Marshall si chiamava George.
Aggiornato il 18 luglio 2025 alle ore 09:48