L’errore del centrodestra sul fine vita

“Vi sono leggi che il legislatore conosce così poco, che sono contrarie allo scopo ch’egli si è proposto”. Così Charles de Montesquieu già nel 1748 notava causticamente nella sua monumentale opera principale Lo spirito delle leggi. Il problema di fondo risiede, dunque, nella evidente e ricorsiva insipienza giuridica di cui il più delle volte, e perfino in ogni epoca storica, il legislatore è afflitto, dando vita a quell’increscioso e tragicomico paradosso per cui spesso un Parlamento – fin dai tempi di Montesquieu – si determina per approvare norme che nella loro sostanza producono un effetto esattamente opposto e contrario a quello sperato nel momento della loro stessa approvazione. Detto in altri termini: il legislatore, cioè proprio colui che dovrebbe esercitare la massima attenzione in ragione della sua funzione, spesso non si accorge del micidiale “effetto boomerang” delle leggi che emana. A parte la palese violazione del principio di non contraddizione, che nell’epoca del nichilismo logico, etico e giuridico per molti può essere trascurato in virtù dell’insegnamento di Friedrich Nietzsche secondo il quale “il nichilista non crede di dover essere per forza logico”, il tema sembra riproporsi in questi giorni in riferimento all’iniziativa del centrodestra che intenderebbe legiferare sul fine vita recependo quanto disposto dalla Corte Costituzionale con le celebre sentenza numero 242/2019 sul caso “Cappato-Fabo”.

I promotori del suddetto Disegno di legge, di cui è slittato l’approdo in Senato a fine luglio, intendono da un lato dare esecuzione alle indicazioni della Corte Costituzionale e, dall’altro lato, evitare ogni deriva incontrollata e incontrollabile sulle pratiche di morte assistita. Probabilmente ciascuno può possedere la propria valutazione su temi così delicati quali sono quelli (bio)etici, ma una cosa sicuramente tutti si ha in comune, cioè la speranza che non vengano mai approvate norme che nella loro sostanza costituiscano la negazione di ogni ragionevolezza e di ogni razionalità giuridica fondamentale. Sulla base della bozza letta da chi scrive – che ovviamente ancora può essere suscettibile di modifica, che può essere emendata in Aula, che può essere deturpata e stravolta dalla giurisprudenza dopo la sua eventuale approvazione come spesso avviene in Italia ad opera della cosiddetta “giurisprudenza creativa” – si possono, tuttavia, riscontrare delle difficoltà di ordine metodologico. Il primo problema che emerge in modo preponderante è quello dei rapporti intercorrenti tra potere politico e ordine giudiziario, per cui sarebbe un terribile errore – costituente addirittura un precedente – ritenere che il Parlamento sul fine vita sia obbligato a legiferare in virtù di un ordine di esecuzione impartito dalla Corte Costituzionale: non a caso la bozza del disegno di legge è significativamente intitolata “Disposizioni esecutive della sentenza della Corte Costituzionale del 22 novembre 2019 numero 242”. Sul punto occorre essere chiari e precisi. In primo luogo: non esiste alcuna vacatio legis, poiché esistono le norme del Codice penale (579 e 580), le norme del Codice civile (5), la legge 219/2017 disciplinante il consenso informato e le dichiarazioni anticipate di trattamento, la legge 38/2010 disciplinante le terapie palliative.

Il quadro normativo, dunque, è sufficientemente articolato e non bisognoso di nuove norme: sarebbe sufficiente, quindi, lavorare su ciò che c’è già, semmai migliorando, implementando e armonizzando le norme già in vigore. In secondo luogo: la Corte Costituzionale non ha nessun potere per impartire alcun tipo di ordine obbligatorio al Parlamento affinché questo legiferi su qualsivoglia materia. In tal senso militano non soltanto i perimetri costituzionali dei poteri della Consulta – che può auspicare, indicare o raccomandare, ma non certo ordinare – e i principi generali dello Stato di diritto di cui quello maggiormente in rilievo in questo frangente è il principio di separazione dei poteri. Ritenere, allora, come da parte di alcuni erroneamente si ritiene, che il Parlamento sia obbligato a legiferare è un drammatico equivoco di metodo a cui non si può prestare nessun tipo di assenso. Il secondo problema che emerge dalla bozza che il centrodestra intenderebbe condurre in Senato è costituito dalla creazione del “Comitato di valutazione” il cui parere dovrebbe essere valutato dalla magistratura. Il disegno di legge, tuttavia, tace sulle modalità, sulle procedure, sulle tempistiche, e soprattutto sulle competenze: quale magistratura? Civile o penale? Con quale provvedimento? E cosa dovrebbe accadere nel caso di contrasto tra il parere del Comitato di valutazione e la mancata “omologazione” della toga adita? Viene ad essere leso, in tale caso, un altro fondamentale principio dell’ordinamento, cioè il principio di certezza del diritto, per cui anche in questo caso non si può non evidenziare il madornale abbaglio del disegno di legge.

Il terzo e ultimo problema è di ordine sistematico. Nelle intenzioni dei promotori del disegno di legge brilla il meritevole obiettivo di limitare le eventuali derive incontrollate della morte assistita, ma senza cogliere la contraddizione insita nella circostanza che con una legge volta a regolarne l’accesso i casi sarebbero numericamente di gran lunga superiori a quelli fino ad ora registrati attraverso le attuali e ordinarie procedure giudiziarie. A dimostrazione di ciò militano il principio logico di conseguenzialità, ma soprattutto la realtà già operante in tal senso e proveniente da tutti quei Paesi che, come l’Olanda o il Belgio, hanno già legalizzato le procedure di morte assistita facendo registrare un ovvio e inesorabile incremento di richieste rispetto ai periodi anteriori alla legalizzazione. Anche in questo caso, quindi, non soltanto le speranze dei promotori del Disegno di legge sono già frustrate dalla realtà, ma proprio gli esiti del più immediato futuro si incaricheranno di smentire le asserzioni dei suddetti promotori sull’assenza di rischi derivanti da una simile legalizzazione. Al tutto si aggiunga, per di più, la circostanza per cui tale iniziativa legislativa – confusa, illogica e mal congegnata – si propone nel periodo di attesa di una importante pronuncia della Corte Costituzionale sull’omicidio del consenziente di cui si ignorano ancora la portata e il contenuto, per cui il predetto disegno di legge rischia di introdurre una disciplina non realmente idonea agli scopi che da parte dei suoi sostenitori ci si è prefissati poiché la Consulta potrebbe scavalcare ulteriormente l’argine basso e precario che essi intendono edificare. In conclusione di tale pur sintetica analisi della bozza del Disegno di legge che il centrodestra intenderebbe approvare sul fine vita, proprio a causa delle gravi contraddizioni interne che lo vulnerano alla luce della ragione del diritto e del diritto della ragione, sovvengono gli antichi e nobili insegnamenti del Minosse di Platone per il quale “ciò che è benfatto è legge sovrana, ma non ciò che è malfatto, il quale si direbbe piuttosto legge per gli incompetenti; anzi, di fatto, una non-legge”.

Aggiornato il 12 luglio 2025 alle ore 10:51