“Green deal”, fra estremismo e ignoranza scientifica

Già nel 2023 in un report dell’Istituto Bruno Leoni si leggeva che “il Green deal europeo non è politica ambientale, ma dannosa politica industriale”. L’allarme partiva da una semplice constatazione ovvero che il piano della Commissione che prescriveva la riduzione delle emissioni nocive del 55 per cento entro il 2030 – al fine di giungere alla neutralità nel 2050 – aveva più a che fare con il populismo che con l’ordine fattuale. Si trattava, come ben presto la realtà si è incaricata di chiarire, di un progetto sostenuto da un devastante combinato disposto: da una parte l’estremismo ideologico e dall’altra una profonda ignoranza scientifica. Intanto, dal primo ottobre prossimo un milione di auto diesel Euro 5 in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, non potranno più circolare nei giorni feriali dalle 8,30 alle 18.30 nei comuni al di sopra dei 30mila abitanti. Il provvedimento deciso dalle quattro regioni del Nord risponde alle sollecitazioni anti-inquinamento dell’Unione europea. È superfluo ricordare che una simile decisione colpisce gli automobilisti meno abbienti. È possibile che il Governo italiano nelle prossime settimane trovi una soluzione tampone.

Resta, però, il problema di fondo: a Bruxelles la realtà continua a essere sostituita dalle convinzioni ideologiche. Infatti, se i commissari europei avessero studiato un po’ di più avrebbero saputo (come si evince dalle pubblicazioni di scienziati appartenenti a scuole diverse) che il Vecchio Continente “emette molto meno CO₂ rispetto a Paesi come Stati Uniti, Cina e India. L’Europa è responsabile soltanto dell’8 per cento delle emissioni mondiali”. Va da sé che affrontare la questione climatica in “ambito europeo” non ha alcuna validità pratica. La soluzione o la si trova su scala globale o è destinata al fallimento. Vi è, inoltre, un altro aspetto del problema che continua a non essere preso in considerazione a causa della scarsa cultura scientifica delle classi dirigenti.

Ci si ostina a non dare il giusto peso a quella parte del mondo della ricerca che, partendo dal riconoscimento che già “le pratiche agricole dei nostri antenati – circa 8mila anni fa – produssero un aumento dell’emissione di gas serra in atmosfera con conseguente riscaldamento globale”, sta cercando per mezzo di numerose attività sperimentali le vere cause delle attuali distorsioni climatico-atmosferiche. L’obiettivo è quello di capire se esse siano da addebitare al modello capitalistico di produzione (come demagogicamente affermano i pasdaran dell’ambientalismo) oppure se siano da riportare in capo ai cicli naturali del Pianeta. Interrogativi scientifici che continuano a essere ignorati dai burocrati di Bruxelles, mentre il mondo delle imprese parla di pesanti ricadute del Green deal, così come è stato impostato, sul terreno dello sviluppo e dell’occupazione. Per dirla con Luigi Einaudi, mai come in questo tornante della storia occorre “conoscere per deliberare”. Per farlo occorre ascoltare la voce degli scienziati e non quella di Greta Thunberg.

Aggiornato il 12 giugno 2025 alle ore 15:07