
Che abbia riempito una storia nazionale, e non solo, se ne sono accorti non prima, ma dopo, i tanti critici di Silvio Berlusconi.
Parliamo di “storia” non a caso e nella misura e nel successo con cui Berlusconi si è imposto nel doppio contesto, mediatico e politico, in un Paese nel quale i due termini si sono motivati, crescendo e dominando soprattutto dopo la fine, per via giudiziaria, di una intera classe politica che aveva gestito per mezzo secolo l’Italia in democrazia, nella libertà, senza guerre, nel benessere garantito.
La definizione di Prima e di Seconda Repubblica, di un prima e di un dopo, è a volte persino stucchevole rispetto al termine “cambio”, più appropriato e del quale Berlusconi è stato il più vero rappresentante, senza se e senza ma tenendo presente che al contesto mediatico e politico va accomunato, et pour cause, quello imprenditoriale che li supporta e che, fin da oltre un cinquantennio, spiega le invidie, i contrasti, le guerre a quel giovane (allora) che si misurava spregiudicatamente con l’establishment produttivo e imprenditoriale, anticipando gli analoghi durissimi, durevoli (perinde ac cadaver) contrasti prima col Berlusconi televisivo e poi con quello politico.
Un vita, quella del Cavaliere, che ha a Milano e in Lombardia non soltanto origini e sviluppo, con quel che ha significato la svolta imponente dei Sessanta peraltro già annunciata sul finire di quel decennio, e una attività i cui progetti e realizzazioni si nutrivano e nutrivano lo spirito attivistico di quegli anni di un miracolo economico scaturito dalla volontà e sviluppato dall’ingegno e dall’irruenza di nuovi, inediti tycoon nella mischia, senza esclusione di colpi.
Silvio Berlusconi come simbolo del cambiamento è per molti aspetti autentico sia perché il Cavaliere è il portato della modernità del nuovo sull’Ancien Régime, sia perché la politica in questi passaggi è impietosa per chi perde e per chi vince e il Cavaliere ne è a un tempo artefice e rappresentante e in questo senso diventa il bersaglio di attacchi, contrasti e veri e propri odi, questi ultimi accresciuti con la fase politica ma ben visibili già nel successo di Mediaset contro i conservatori e i reazionari di sinistra a difesa della Rai e del suo monopolio. Una vera e propria battaglia in cui il duo Craxi-Berlusconi rappresentò una svolta postmoderna ante litteram e a suo modo storica perché, al di là della contingenza, riassumeva significati più ampi iscrivendosi nelle indicazioni del progetto in corso non tanto delle novità quanto della complessità e dei richiami di un’epoca diversa nei confronti del ruolo dell’impresa privata nelle attese e nei relativi impegni della classe politica.
Così come Bettino Craxi e la sua storia sono segnati da odi, da menzogne, dai più biechi attacchi dell’anti-craxismo, segno di “immensa invidia e di pietà profonda” come recita Alessandro Manzoni, così per Silvio Berlusconi l’avversione radicale, condita di insulti, ha marchiato a fuoco anni e anni soprattutto in seguito alla sua discesa un campo (slogan dal sapore calcistico) nella seconda metà degli anni Novanta, dopo la falsa rivoluzione di “Mani pulite”, esaltata dai mass media compresi (spesso) quelli berlusconiani e sempre salutata con entusiasmo dai postcomunisti e dalle diverse sinistre e società civili.
L’entusiasmo sotto la bandiera del “nuovo che avanza” e di chi si sentiva miracolato da quella inchiesta e ne appoggiava gli sviluppi nella certezza che avrebbe condotto ad un successo indubbio della sinistra nelle sue autoproclamazioni di onestà e di innocenza contro i corrotti di prima e i loro compagnon de route coltivando l’illusione di svolte epocali, di governi nuovi, nuovissimi; illusione miseramente crollata dopo il successo strepitoso della nuova, quella sì, Forza Italia, il movimento che un intuitivo e niente affatto rassegnato Berlusconi aveva creato riempiendo uno spazio politico vuoto sulle macerie dei partiti democratici di “prima” per non disperderne tendenze e simpatie di moderati, anticomunisti, cattolici, socialisti, liberali. Qui sta la genialità berlusconiana.
Ben diversa, lontana anni luce dall’irruzione sulla scena di un comico urlante e insultante che in nome dell’antipolitica e della criminalizzazione di tutti gli altri ha fatto guadagnare al populismo più sfrenato una mole di consensi che si va inesorabilmente assottigliando per l’incapacità, l’inesperienza, l’arroganza di una compagine che ha comunque colpito a fondo i partiti nel loro complesso, a causa anche dell’indebolimento vistoso di Forza Italia compensato, come si sa e come vedremo, dalla crescita di una Lega che non è comunque Forza Italia anche se le televisioni del Cavaliere tendono a privilegiare il salvinismo.
L’offerta politica dell’agibilità di uno spazio liberaldemocratico fu l’autentica rivoluzione di Berlusconi, il cui effetto immediato fu la travolgente vittoria e la storica sconfitta della sinistra, di un ex Partito comunista che rimase senza più storia, senza strategia, privo di prospettive, senza identità.
È a questa débâcle che va fatta risalire l’ostilità non ancora spenta della sinistra erede del Pci; una sinistra che non soltanto non riusciva, perché non voleva, spiegare i perché di una vittoria immeritata, di destra qualunquista, ma, soprattutto, non volle subito trovare in una obbligatoria autocritica non foss’altro che per il dimezzamento di consensi e di rappresentanza.
La leggendaria discesa in campo è stata ed è durevole e qualsiasi analisi del periodo berlusconiano non può disconoscerne la portata politica a cominciare da una stabilità bilanciata dal nuovo sistema bipolare che garantisce comunque una presenza dinamica parlamentare all’opposizione attribuendole un ruolo di non poco conto.
Certo, tante promesse non sono state mantenute come capita per ogni governo nuovo, ma la mancanza più seria è stata ed è l’assenza della sempre sbandierata riforma di una giustizia che anche in questi giorni è sventolata come imminente e che ha un’eredità pesante nell’eliminazione di leader, di premier, avviata con quella di Giulio Andreotti, poi di Craxi, poi di Berlusconi e poi ancora di Matteo Renzi. E Matteo Salvini stia attento...
Ed è più che giustificata l’iniziativa del Cavaliere e dei suoi avvocati per una revisione del processo che l’ha condannato ed espulso dal Parlamento.
È altrettanto certo che sta nella natura della leadership di Berlusconi il baco che ne ha corroso molta polpa giacché la filosofia dell’uomo solo al comando serve a mobilitare consensi ma non a governare le complessità della modernità e della stessa realtà di un movimento di cui andava, va agevolata la polifonia con organismi autorevoli ed eleggibili in grado di selezionare persone, idee e argomenti. È la forza storica del liberalismo.
Anche da ciò il declino di Forza Italia e dello stesso suo leader di cui si avvertono e si denunciano ritardi e limiti ma, al tempo stesso, si lamenta la progressiva diminuzione nel Paese politico dell’impulso liberale che resta la ragion d’essere di Forza Italia, che è comunque presente in un’alleanza ma con voce flebile, scarse iniziative, pochi progetti forse per timore di troppe differenze con Salvini, mentre sta proprio nelle differenziazioni propositive il lievito di uno stare insieme altrimenti si scade nel potere fine a se stesso che è il vero contagio nella politica di questi tempi.
Per tutto questo augurare a Berlusconi la guarigione è obbligatorio, un suo ritorno necessario, e la sua presenza auspicabile in un panorama politico a dir poco triste.
Aggiornato il 17 maggio 2021 alle ore 10:09