I dazi americani: meglio non fare previsioni

Gli economisti sono come gli anatomopatologi quando fanno le autopsie. Ti sanno spiegare con dovizia di particolari le cause, sempre ex post, che hanno causato una crisi economica. “È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”. Sul tema della guerra dei dazi, tra gli Stati Uniti e l’Unione europea, sia gli economisti che gli opinionisti maggiormente in voga, avevano pronosticato gravi problemi per le esportazioni europee e un disastro per l’economia americana. “I dazi danneggiano tutti e saranno un boomerang per gli Stati Uniti”. Sulla base dei dazi minacciati al 30 per cento su tutte le importazioni, nella lettera inviata da Donald Trump all’Europa, avevano già quantizzato la riduzione delle esportazioni negli Usa e l’impatto negativo sull’occupazione in Europa e in particolare in Germania e in Italia che sono le nazioni con il maggior surplus commerciale con gli stati Uniti. Ovviamente, con sofisticati studi econometrici, hanno calcolato il minor impatto derivante dall’accordo di massima al 15 per cento che è stato sottoscritto in Scozia tra il “bullo americano” e la “nobile” Ursula von der Leyen. Il maggior danno, comunque, lo avrebbero subito i consumatori americani non solo per l’aumento dei prezzi delle merci importate e per l’aumento dell’inflazione generata dalla crescita del valore d’acquisto dei prodotti importati; ma soprattutto per:

1) La perdita di credibilità del dollaro come moneta di riserva.

2) Il probabile abbandono della moneta americana come valuta utilizzata negli scambi internazionali.

3) La fuga degli investimenti esteri in valori mobiliari negli Stati Uniti.

4) Incassi decrescenti per l’Erario americano per il semplice fatto che si sarebbero ridotte le importazioni e quindi la base imponibile sulla quale applicare i diritti di confine.

Tutti erano concordi nell’affermare che il presidente americano non avesse una vera strategia e che affrontasse le negoziazioni sul commercio con il resto del mondo come un giocatore di poker. Non vi elenco gli insulti che gli sono stati rivolti. I primi risultati misurati della “incomprensibile” strategia del tycoon sono:

1) Il deficit Usa a giugno 2025 è ai livelli più bassi da due anni. Il disavanzo commerciale si è ridotto a 86 miliardi di dollari (meno 10,8 per cento).

2) Il Pil degli Stati Uniti è cresciuto nel secondo trimestre del 3 per cento significativamente sopra le aspettative dei mercati nonostante il perpetuarsi della politica restrittiva sui tassi d’interesse della Fed che ha lasciato, era ampiamente previsto, i tassi di riferimento invariati.

 La forza politica ed economica degli Stati Uniti si fonda sulla elezione diretta del presidente. Gli elettori gli conferiscono un mandato dal quale derivano quei poteri che gli consentono di attuare il programma politico sottoposto al vaglio del elettorato. La governance europea è il risultato di procedure bizantine che sono tutt’altro che veramente democratiche. In Scozia, Donald Trump rappresentava, in forza del mandato diretto, gli Stati Uniti nelle negoziazioni sui dazi. Ursula von der Leyen chi stava realmente rappresentando? E con quale forza? Sottovalutare Donald Trump e le sue strategie è quantomeno superficiale. Non si viene rieletto, per caso, il presidente della nazione più potente del mondo.

Aggiornato il 31 luglio 2025 alle ore 10:31