Il prezzo del gas in Italia è rappresentativo del valore della commodity?

La scarsa concorrenza nazionale e le ingessature del mercato europeo hanno favorito rendite di posizione e la speculazione internazionale che spingono durevolmente a rialzo il prezzo del gas

Di norma il prezzo di una qualsiasi merce riflette tre componenti principali: la scarsità-abbondanza dei materiali che la compongono, i costi del processo di lavorazione e la percentuale del profitto come remunerazione del capitale aziendale investito. Le inefficienze di mercato sia di approvvigionamento che di regolazione si riflettono inevitabilmente sul prezzo, facendolo alzare. Le fluttuazioni di prezzo permettono al consumatore di comprendere come nella filiera di approvvigionamento-trasformazione vi siano anomalie e può così adottare eventuali condotte compensative. Il problema dei problemi nel caso delle commodity energetiche è che la principale difesa del consumatore, ossia il contenimento del consumo corrente, sia per preferenza verso altro bene ovvero semplice astensione, non è possibile. Dell’energia non se ne può fare a meno ed i livelli di consumi rimangono sostanzialmente stabili anche con elevati rialzi di prezzo. Questa anomalia si connota come anelasticità della domanda alle variazioni di prezzo, condizione che impedisce azioni di difesa dei consumatori di fronte a disfunzioni del mercato, soprattutto in situazioni di aggregazione e/o di allineamento convergente, ossia di oligopolio.

Le ingessature del mercato e l’escalation dei prezzi

Nel settore energetico tale forma di mercato è piuttosto diffusa in quanto i costi di ingresso, soprattutto infrastrutturali, sono particolarmente elevati. Nella trasmissione e distribuzione peraltro l’operatore è quasi sempre unico, perché si tratta di un network business; inoltre la parcellizzazione nella distribuzione comporta extracosti e disservizi come il comparto del gas ha dimostrato con l’annosa questione degli ambiti. Perciò è preferibile in tali segmenti di mercato l’operatore unico. Nel caso italiano la questione si complica perché la stragrande maggioranza del gas è importata e quindi si riflettono nel mercato nazionale le condizioni di compravendita realizzate all’estero, spesso viziate da situazioni contingenti, sfruttate dalla speculazione per alzare il prezzo e lucrarci sopra. In ogni segmento della filiera è dunque possibile che si imponga un extra costo per i consumatori. A ciò si aggiungono le cattive pratiche di formalizzazione del prezzo che causano degli ulteriori costi. Ad esempio il prezzo per i clienti residenziali e/o commerciali sono prezzati al Punto di scambio virtuale (Psv) che non segna il prezzo di borsa, bensì quello stabilito bilateralmente dagli operatori che si scambiano partite gas nel giorno di consegna (day ahead). Perciò il prezzo gas dell’intera consegna giornaliera è valorizzato al prezzo più elevato registrato fra due operatori, adottando un uso improprio della teoria marginale del valore, in quanto una fornitura mensile – il nostro contratto di casa – si ritrova specificato secondo i costi degli aggiustamenti bilaterali che sono orari e/o giornalieri. Nel complesso risulta un processo formativo del prezzo distorsivo rispetto al normale confronto domanda/offerta; in particolare, la domanda non ha modo di incidere sulle dinamiche di prezzo, neanche contenendo i propri consumi, come quando la stagione invernale si rivela più mite del previsto.

Ed in effetti anche quest’anno abbiamo chiuso il semestre invernale con copiose scorte di gas: oltre il 30 per cento delle disponibilità degli stoccaggi. Eppure il prezzo non ha subito flessioni, anzi si è mantenuto elevato, con spinte rialziste. Questa inerzia del prezzo è foriera di numerosi contro effetti a tutto danno dei consumatori di luce e gas, come anche dei beni che con esse sono realizzati, causando un effetto inflazionistico per tutta l’economia ed una perdita di competitività delle nostre aziende. È quanto ha ribadito il presidente di Confindustria Emanuele Orsini nel corso dell’assemblea annuale a Bologna che si è tenuta a fine maggio. Il prezzo dell’energia è troppo alto ed è scandalosamente artefatto dalla speculazione e dalle majors del mercato che riescono a praticare prezzi svincolati dal confronto D/O. E i meccanismi di regolamentazione non riescono ad incidere sui livelli di concorrenza, né ad offrire capacità di pressione sull’offerta ad opera della domanda al fine di rendere più concorrenziale il mercato.

L’affermazione dell’oligopolio nei mercati energetici nazionali e nell’import

Il mercato italiano del gas è ancora altamente concentrato; i principali operatori Eni, Enel, Edison, Snam (infrastrutture di trasporto), sono price maker e gli altri tendenzialmente seguono perché sono loro ad importare il gas per quasi tutto il mercato nazionale. Ed anche se gli operatori alla borsa gas italiana, fra nazionali ed esteri, sono centinaia e centinaia, secondo Arera il soggetto leader copre bel il 37 per cento del mercato all’ingrosso, con un indice Hhi pari a 448, quando il valore per aversi un mercato concorrenziale dovrebbe essere inferiore a 150. Nel mercato retail l’oligopolio è esteso ai primi cinque operatori che coprono 60 per cento del mercato. Evidentemente, tutti gli altri operatori (trader e re-seller) comprano quasi sempre dai primi, non avendo volumi di vendita sufficienti per l’acquisto diretto da soggetti terzi esteri (importazioni one-to-one). La scarsa concorrenza del mercato nazionale comporta una significativa debolezza contrattuale nell’import – e non il contrario – in quanto i grossisti medio piccoli che operano al Gme non riescono a promuovere azioni di pressione sulla controparte estera. Ed operatori nazionali passati in mano estera come Edison, non vengono in Italia per promuovere concorrenza – ed Edison ne avrebbe tutta la forza vista che è interamente controllata da Edf che è al 100 per cento dello Stato di Francia (scandalo nello scandalo) – bensì per lucrare sugli extra-profitti. Tutto questo meccanismo ci espone maggiormente all’azione della speculazione sulla borsa Ttf olandese poiché siamo meno protetti non disponendo di un ampio parterre di importatori che possano utilizzare contratti Top (Take-or-pay) di medio lungo periodo, molto più stabili verso i rialzi di prezzo.

Il ruolo degli stoccaggi a terra

La bassa concorrenza nell’import è in parte dovuta anche ad un’insufficiente capacità di stoccaggio che non è adeguata ad implementare un’idonea concorrenza: si importa nella sola misura dei consumi attesi a livello nazionale, cui si possono aggiungere delle discontinue vendite di export verso partner europei. Quindi i volumi introitati sono “misurati” ai consumi attesi, e nessuno importa in quantità maggiore perché non si avrebbe facilità di stoccarlo, sarebbe costoso trattenerlo a lungo, col rischio di ritrovarsi con partite invendute. E neanche abbassando il prezzo si riuscirebbe nel corrente anno termico ad alienare tutto il surplus importato, soprattutto se è tanto, perché i contratti di fornitura presso la clientela sono prestabiliti e il tasso di switch è basso; c’è una certa indolenza del consumatore, tanto piccolo che grande a cambiare il proprio fornitore. Ne risulta che senza la disponibilità di nuovi stoccaggi a terra, dove immagazzinare a basso costo volumi discrezionali da vendere poi in occasioni propizie, non si formano nuovi operatori di dimensioni medio grandi e non si riesce a formare un prezzo nazionale svincolato dalle speculazioni del Ttf. E poi perché rischiare? Un mercato avente prezzi più elevati assicura per la propria quota di mercato degli extra profitti senza correre rischi. Chi ci rimette è il consumatore e le aziende, sempre meno competitive nelle lotta della competizione globale.

La transizione e l’operatività del gas

Va altresì ricordato che il gas è considerato un vettore di transizione, perciò a scadenza, visto che l’Ue ha ormai deciso da oltre un lustro di puntare tutto sull’elettrico, sia nei consumi che nella generazione. Quest’ultima si realizzerà oltre che con le Fer (Fonti energetiche rinnovabili) anche col nucleare. E l’eventuale riduzione del prezzo del gas frenerebbe la diffusione delle rinnovabili che hanno costi non sempre competitivi, specie per gli impianti di potenza. Il gas con prezzi sostenuti consente allora l’affermazione delle rinnovabili imposta da Bruxelles; da qui la scelta di non ricorre più al gas russo, e di rifornirsi come sostituzione al Gnl, che ha mediamente costi più elevati.

Ma in realtà il gas avrebbe prezzi molto contenuti se si realizzassero tre condizioni:

  • Riattivare le importazioni dalla Russia;
  • Ampliare gli stoccaggi gas;
  • Favorire aggregazioni di mercato fra gli operatori di dimensioni medio-piccole al fine di favorire la concorrenza interna e da import.

Già solo il primo punto consentirebbe di far riassorbire i prezzi riportando gas ai valori pre-bellici che, lo ricordiamo, al Psv erano oscillanti fra lo 0,5 – 1 euro standard metro cubo, fra dicembre 2021 e febbraio 2022.

L’armonizzazione del sistema energetico

A ben vedere, la questione non è quella di rendere antagonisti le diverse tipologie di generazione, quanto di armonizzarle in un unico piano nazionale. Ma questa situazione, ottimale per consumatori e aziende, annullerebbe gli extra profitti, ponendo a nudo le scelte contradditorie di market design che si sono compiute a livello nazionale ed europeo. Per quest’ultimo livello tali scelte si sono dimostrate manchevoli di una sintesi che riuscisse, progressivamente, ad accomunare realtà nazionali molto distinte. Un sistema energetico è innanzitutto programmazione e previsione, e non, come invece è successo, un coacervo di impianti e tecnologie risultante dagli esiti elettorali e dalle lobby finanziatrici. È indispensabile che si ricentri il ruolo del gas, specialmente in considerazione dei grossi consumatori, che non sono solo gli energivori, ma anche il tessuto industriale delle Pmi, nonché i grandi condomini, specie al nord, che continuano a scaldarsi col gas. Si tenga presente che il passaggio all’elettrico in queste realtà, soprattutto nel residenziale, sarà lento, ed il gas continuerà a rivestire un ruolo centrale. Stanti così le cose, dovrà tornare avere un ruolo centrale il prezzo, principale indicatore ed informatore per tutti i tipi di consumatori, ma anche imprescindibile parametro per gli investimenti dei tantissimi imprenditori che, a vario livello, hanno fatto e continuano a fare, di questo settore, un’eccellenza italiana nel mondo.

Aggiornato il 28 giugno 2025 alle ore 10:39