
Dieci ore senza corrente e nessun responsabile: il vero blackout è quello di un potere che gestisce senza rispondere, promette senza garantire.
Alcuni giorni fa, un’estesa interruzione dell’energia elettrica ha paralizzato per ore vaste aree della città di Torino. Gli organi di stampa hanno dato ampio risalto all’accaduto, riferendo che oltre 200mila cittadini sono rimasti senza corrente, in alcuni quartieri fino a dieci ore consecutive. Le immagini diffuse hanno mostrato supermercati chiusi, ascensori bloccati, semafori spenti e attività costrette a fermarsi. Le cause, secondo Iren – società partecipata dal Comune e incaricata della distribuzione – risiederebbero in tre guasti concatenati sulla rete di media tensione. È una spiegazione tecnica che, tuttavia, non può nascondere una verità più profonda: il disservizio non è stato una mera fatalità, bensì l’effetto di un sistema inefficiente, autoreferenziale, privo di responsabilità reale.
Di conseguenza, il capoluogo piemontese si è ritrovato improvvisamente privo di un servizio che, in una società moderna, costituisce una condizione essenziale di funzionamento. Le immagini restituivano non un’emergenza occasionale, ma l’esposizione di fragilità strutturali profonde. A rendere il quadro ancora più amaro, il fatto che interi quartieri restassero al buio mentre, nel centro storico, alcuni eventi pubblici potevano contare su gruppi elettrogeni privati: un contrasto che ha alimentato indignazione e reso evidente la distanza tra chi subisce le conseguenze e chi, pur governando, se ne isola.
Nel corso della storia, l’amministrazione delle infrastrutture ha rappresentato un indicatore fondamentale della legittimità del potere. Nell’Antica Roma, la cura annonae garantiva l’approvvigionamento pubblico del grano alla città di Roma — un servizio essenziale per la stabilità sociale e politica — come attestato nelle fonti storiche che descrivono l’organizzazione del sistema e l’importanza attribuita all’ufficio del praefectus annonae. Nei liberi Comuni italiani dei secoli XIII–XIV, poi, la manutenzione di strade, acquedotti e mercati era vincolata a precisi obblighi amministrativi. Negli Statuti comunali di Bologna del 1288 venivano previste sanzioni pecuniarie per i massari delle strade inadempienti , mentre negli Statuti della Repubblica fiorentina del 1355 si imponeva l’ineleggibilità per chi non garantiva la cura delle vie pubbliche. In quei contesti, il mancato rispetto dei servizi essenziali comportava conseguenze concrete: chi non li assicurava veniva rimosso, non giustificato. Oggi, invece, si invocano ritardi autorizzativi o scarsità di fondi – come ha fatto il sindaco Stefano Lo Russo – senza che ciò produca effetti reali.
Quanto accaduto, come appare evidente, ha riportato all’attenzione i limiti di un modello fondato sulla gestione pubblica diretta o attraverso partecipate. La convinzione secondo cui la proprietà pubblica sia di per sé sinonimo di efficienza è smentita dai fatti. L’evoluzione recente del settore energetico italiano va in senso opposto. Con il Decreto Bersani del 1999, l’Italia ha avviato un percorso di liberalizzazione, recependo la direttiva europea 96/92/CE. Produzione, distribuzione e vendita sono state separate. Successivamente, nel 2007, è stata introdotta la possibilità per tutti i clienti di scegliere il proprio fornitore. Dal 1° luglio 2024, è stata infine superata la cosiddetta “maggior tutela”, completando formalmente l’apertura del mercato.
Questa riforma, però, si è fermata a metà. Se sul fronte della vendita si è registrata la nascita di una pluralità di operatori, nella distribuzione – cioè, nella gestione delle reti fisiche – persistono monopoli territoriali, spesso affidati a società partecipate da enti locali. In siffatti ambiti, la concorrenza è solo teorica, e l’efficienza non è premiata. I costi, economici e sociali, sono scaricati sull’utenza. In assenza di competizione e controllo, i guasti si moltiplicano, la manutenzione si rimanda, i rischi si accumulano.
Spetterebbe ad Arera – l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente – garantire la qualità del servizio e tutelare gli utenti. Ma l’efficacia del suo intervento è limitata dall’assenza di reali meccanismi sanzionatori e dalla distanza tra le norme e la loro applicazione. Le partecipate, in particolare, sfuggono spesso a valutazioni indipendenti. La responsabilità politica si diluisce in quella tecnica, e quella tecnica si dissolve nella procedura.
Il caso torinese richiama alla mente altri episodi simili. Nel settembre del 2003, un’interruzione generalizzata lasciò al buio l’intero territorio nazionale. Anche allora si parlò di eventi imprevedibili e cause esterne. Eppure, il problema era noto: reti fragili, manutenzioni carenti, mancanza di investimenti. Nulla è cambiato. Anzi, si è consolidata l’abitudine a tollerare disservizi sempre più gravi senza alcuna reazione sistemica.
Il vero punto critico non è l’interruzione in sé, ma la struttura che la rende possibile e le modalità con cui viene gestita. Un sistema che non prevede responsabilità concrete, né per gli amministratori pubblici né per i dirigenti delle aziende affidatarie, è destinato a produrre nuovi fallimenti. La semplice promessa di nuovi investimenti – come le cabine primarie da costruire in cinque anni – non è una soluzione. È un rinvio.
Pertanto, in una società aperta, chi fornisce un servizio essenziale deve essere soggetto a regole chiare, trasparenti, orientate al risultato. La concorrenza non è un dogma, ma uno strumento: permette al cittadino di scegliere, di confrontare, di pretendere. Dove manca, prevale l’arbitrio. E dove esso si consolida, il potere non serve più il pubblico, ma sé stesso.
In buona sostanza, la sospensione della fornitura elettrica a Torino ha spento molto più che le luci. Ha rivelato la crisi di un modello incapace di garantire ciò che promette, pronto a estendere il controllo ma riluttante ad assumersi obblighi. Un’amministrazione che non solo non è in grado di accendere la luce, ma arriva addirittura a spegnerla, dimostra di non saper guidare né una rete elettrica né una città.
Aggiornato il 18 giugno 2025 alle ore 10:56