
Mentre l’Unione europea dorme con i suoi tempi burocratici e dimostra di essere in preda ad una perniciosa “miopia” geopolitica, esclusa dallo scacchiere commerciale e politico internazionale, nonché incapace di essere protagonista nell’attività di mediazione in tutti i conflitti attuali, a partire dalla guerra in Ucraina, gli Usa di Donald Trump tessono nuovi accordi con il Sol levante.
La demagogia imperante dei politici europei contribuisce a far sprofondare ulteriormente l’autorevolezza dell’Unione europea, che sta diventando progressivamente una sorta di grottesca macchietta o brutta copia di quell’Unione che avrebbero voluto i suoi padri fondatori.
Così, mentre la nostra classe dirigente politica continua a crogiolarsi in sterili polemiche di principio, il tycoon statunitense dichiara ai quattro venti: “Il nostro affare con la Cina è fatto, e dovrà ricevere l’approvazione finale mia e del presidente Xi Jinping”. Con questa dichiarazione, affidata al suo social network Truth, Donald Trump ha annunciato la svolta: un accordo, tanto atteso quanto sorprendente, tra le due superpotenze. Una tregua commerciale che arriva dopo mesi di tensioni, minacce di escalation tariffaria e un rischio concreto di guerra commerciale permanente.
L’intesa – nata nei saloni riservati di Lancaster House, nel cuore istituzionale di Londra – è stata frutto di due giorni serrati di negoziati tra le delegazioni di Washington e Pechino. Un tavolo bilaterale condotto da figure di primo piano: per gli Stati Uniti, il segretario al Commercio Howard Lutnick e il rappresentante della Casa Bianca Jamieson Greer; per la Cina, il vicepremier responsabile per l’economia He Lifeng e il viceministro del commercio Li Chenggang. Al di là delle fanfare trionfalistiche con cui Trump ha presentato l’intesa, i dettagli tecnici lasciano intravedere una verità più sfumata.
I dazi, punto dolente degli scambi tra Usa e Cina negli ultimi cinque anni, non sono affatto scomparsi. Resta in vigore un dazio reciproco del 10 per cento su tutti i beni. Inoltre, è ancora oggetto di trattativa l’eventuale dazio del 20 per cento sul traffico di fentanyl – droga sintetica di cui Washington accusa Pechino di essere un tramite – e permangono tariffe medie del 25 per cento su numerosi prodotti.
La vera novità riguarda però le terre rare e i magneti, elementi fondamentali per la transizione energetica e la produzione hi-tech. Pechino, secondo le fonti, avrebbe accettato di alleggerire i controlli all’export su materiali considerati critici per la manifattura statunitense. Una concessione significativa, vista la centralità della Cina nella catena di approvvigionamento globale di questi materiali. Altro elemento chiave: la marcia indietro sulla questione degli studenti cinesi. Trump ha deciso di non bandire i giovani cinesi dalle università americane, accantonando – per ora – uno dei provvedimenti più controversi e simbolici della sua agenda anti-Cina.
L’incontro londinese segue la tregua di Ginevra del mese scorso, che aveva scongiurato l’imposizione di tariffe in tripla cifra. A differenza delle sfide aperte in altri teatri (Ucraina, Medio Oriente, Mar Cinese Meridionale), qui Usa e Cina sembrano aver scelto la strada del confronto razionale. Li Chenggang ha parlato apertamente di “confronti approfonditi e sinceri”, un linguaggio inconsueto nei comunicati ufficiali di Pechino. Trump, dal canto suo, ha dichiarato di avere una “relazione eccellente” con le controparti cinesi, sottolineando una volontà di dialogo che appare inedita per il tycoon.
Non è un caso che l’annuncio sia arrivato in contemporanea a un dato incoraggiante sull’inflazione americana – 2,4 per cento, sotto le attese – e a un inatteso gesto di distensione da parte di Elon Musk, che dopo settimane di tensioni ha teso “un ramoscello d’ulivo” proprio a Trump. Il clima generale sembra dunque più disteso.
Quando durerà questa nuova intesa? E soprattutto: ha basi solide, oppure si tratta di un accordo fragile, dettato da esigenze contingenti e destinate a mutare al primo cambio di scenario geopolitico?
L’inconfutabile nota dolente riguarda la grande assente di questo accordo: l’Unione europea. Mentre Usa e Cina ridefiniscono la loro rivalità in chiave di “prevedibilità e governabilità”, Bruxelles appare ancora timida e disorganizzata sul fronte dei dazi e delle politiche industriali. La “mina dazi”, che minaccia anche le economie del Vecchio Continente, resta sul tavolo e il rischio è che, ancora una volta, siano altri a scrivere le regole del gioco globale. L’accordo tra Stati Uniti e Cina segna una pausa significativa in una guerra commerciale che sembrava senza fine. Comunque sia, la domanda cruciale resta: è una tregua duratura o solo l’ennesimo armistizio di convenienza? La storia recente suggerisce prudenza.
Intanto, nel cuore del caos globale, Washington e Pechino – tra interessi economici, spin diplomatici e calcoli elettorali – tornano a parlarsi e tutto questo avviene nello sconfortante oblio in cui si è relegata l’Unione europea.
Aggiornato il 12 giugno 2025 alle ore 14:09