#Albait. La resilienza inetta

Viva il Piano Nazionale di Resilienza o Pnrr. Ma poi la realtà bussa.

In Sicilia, solo l’1,4 per cento delle somme disponibili sono state effettivamente spese. A livello nazionale, il cinque e rotti per cento. A dicembre 2024 era stata dichiarata una spesa Pnrr di cinquanta miliardi. Ma era spesa pianificata, non effettuata. Le parole sono sottili, ma i significati diversi. Il governo si è poi reso conto che persino la spesa ‘pianificata’ al 2024 era impossibile e l’ha ridotta a meno della metà: appena venti miliardi.

I fondi Pnrr devono essere completamente investiti entro giugno 2026.

La verità è che il grande piano di ‘resilienza’ non resilia.

La penalità che pagheremo è che le opere non saranno fatte. Un fallimento grave. Sono decenni che falliamo nell’investire anche i fondi strutturali europei. 

Stato e amministrazioni non realizzano le infrastrutture e le opere necessarie per creare ricchezza. Eppure, paghiamo perché facciano il loro lavoro con il 70 per cento di quello che produciamo, tra tassazione diretta e indiretta.

Forse per evitare accuse, anche il governo attuale ha voluto affermare che il 40 per cento degli italiani non pagano le tasse. Tutti colpevoli? Ovviamente no. Facciamo i conti seriamente.

Ogni italiano ha sulla propria testa, sin dalla culla, cinquantacinque mila euro di debito. Quota in costante crescita. Abbiamo raggiunto un nuovo massimo storico di tremilaventiquattro miliardi di debito pubblico.

Ricordate la battuta statale sul 40 per cento degli italiani che non pagano tasse? Bene.

È normale. Perché sono poveri.

Il numero dei contribuenti, cioè coloro che esistono per il fisco perché hanno qualche attività, sono solo trentadue milioni. Gli altri non hanno reddito. Alcuni contribuenti, molti, sono nella no tax area. Altri hanno benefici perché pagano qualcosa ma non possono sopravvivere e ricevono aiuti.

Risultato: a dividersi il debito pubblico crescente sono solo il 40 per cento degli italiani.

I contribuenti capaci hanno quindi centoquarantasette mila euro, più ventinovemila di debiti privati.

Il risparmio medio delle famiglie è di centosettantasei mila euro e quindi sembra che i conti reggano. Purtroppo, la ricchezza non è equamente distribuita. Quindi, anche in quel 40 per cento che paga, solo una parte mediamente ha più di duecentocinquantamila euro di beni in mano. Un quarto dei capienti pagano, ma non ce la fanno più.

Risultato: fatte tutte le moltiplicazioni, addizioni e sottrazioni, la quota di italiani poveri è salita al 70 per cento. Cinque milioni di noi vivono ancora da benestanti, ma stanno per entrare nel girone infernale.

La conferma di questa analisi sta nella discesa violenta del risparmio. Negli ultimi cinque anni le famiglie hanno perso in media centoventi mila euro. Con la solita ripartizione che prevede una crescente concentrazione della ricchezza. Quindi, c’è chi ha perso trecentomila euro e una minoranza che ha addirittura aumentato il patrimonio.

La battuta che recita “se pagassimo tutte le tasse il carico fiscale sarebbe minore” è quindi falsa. Siamo un Paese nella stragrande maggioranza povero. Il 70 per cento della popolazione italiana non ha alcun risparmio e solo debiti.

Ma perché siamo ridotti così?

Perché chi governa al centro e in periferia pervicacemente spreca soldi pubblici. Se un chilometro di strada, di ferrovia, di acquedotti, da noi costa fino a cinque volte di più rispetto a Francia, Spagna o Germania, sprechiamo tanti soldi. Se l’investimento viene eseguito. Ma spesso la spesa pubblica è mascherata. Si devono fare opere e invece si pagano stipendi o feste patronali. È più facile. Ma impoverisce tutti.

I ventidue milioni di resistenti tributari e i trentatre milioni di poveri non si rendono conto che i miliardi sprecati sono presi direttamente dalle loro tasche. La mancata resilienza produrrà cinque milioni di nuovi poveri entro il 2030.

Un’intera classe politica è stata educata allo spreco. Abbiamo bisogno di una guida più seria, non più forte. Ma pare che nessuno abbia la patente, tra i cooptati di oggi. La vera riforma istituzionale sarebbe il diritto popolare di cacciare gli spreconi spesso anche inetti.

Aggiornato il 05 giugno 2025 alle ore 13:25