
A quanto pare lo Stato è sempre una mucca da mungere. Nel nostro Paese, la voglia di fare di burocrati e amministratori non scema mai.
Il recente comunicato con cui l’Istat annuncia la pubblicazione del rapporto annuale sulle partecipazioni pubbliche nelle imprese si apre con una frase che, in un paese normale, dovrebbe essere al centro del confronto politico: “Nel 2022 aumenta il numero delle imprese a partecipazione pubblica attive nei settori dell’Industria e dei Servizi (+1,5%), mentre diminuisce del 5,3% il numero di addetti (839.025)”.
Questi dati - a cui si aggiungono le analisi più di dettaglio dell’Istituto di statistica - mostrano, in primo luogo, quanto sia ampia e profonda la presenza dello Stato nella nostra economia; e, secondariamente, che la partecipazione pubblica diretta coinvolge imprese sempre più piccole. Scrive ancora l’Istat: “Delle 8.250 unità economiche a partecipazione pubblica, 5.782 sono imprese attive operanti nel settore dell’Industria e dei Servizi, per un totale di 839.025 addetti”. Rispetto al passato, c’è un’inversione di tendenza: diminuiscono le partecipate degli enti locali e crescono quelle delle amministrazioni centrali.
Non è azzardato sostenere che stiamo assistendo al consolidarsi di un fenomeno iniziato tempo fa. Per quanto il governo parli ancora di privatizzazioni (il documento di finanza pubblica ne prevede per lo 0,8 per cento del Pil nel triennio 2025-27), nel migliore dei casi si tratta di cessioni parziali, che non mettono in discussione il controllo pubblico. La tendenza è la medesima dall’inizio degli anni Duemila. All’epoca a opporsi alle privatizzazioni erano soprattutto gli enti locali, principalmente perché attraverso le società partecipate potevano in parte eludere i vincoli del patto di stabilità interno. Adesso siamo in pieno riflusso: gli enti locali hanno raggiunto il limite, ma torna a crescere il ruolo dello Stato, legato sia al mantenimento di quote nei “campioni nazionali”, sia - ed è questa la novità - in maniera sempre più frequente nella proprietà di aziende che rischiano o la bancarotta, o l’acquisizione da parte di terzi.
Più volte abbiamo richiamato l’esortazione di Giorgia Meloni al governo e al Parlamento a “non disturbare chi vuole fare”: abbiamo commentato positivamente queste parole quando sono state pronunciate, e poi abbiamo evidenziato le tante contraddizioni che si sono accumulate con l’esercizio concreto dei poteri di governo. Ci viene il dubbio che di quelle parole l’esecutivo tenda a dare una interpretazione estensiva. Cioè che nel novero di chi non va disturbato stiano gli amministratori delle imprese statali, che ne acquisiscono altre; i burocrati, che amano impicciarsi nella distruzione creativa del mercato; gli interessi particolari, per cui lo Stato è sempre una mucca da mungere. Nel nostro Paese, la loro voglia di fare non scema mai.
Aggiornato il 20 maggio 2025 alle ore 15:35