L’energia che piace al potere, ma pesa sulla gente

Presentata come emancipazione tecnologica e ambientale, la transizione “verde” si è trasformata in una macchina rigida e onerosa che alimenta rendite e paralizza le scelte.

L’energia doveva cambiare il mondo. Doveva liberarci dai vincoli geopolitici, abbassare i costi per famiglie e imprese, sostituire combustibili inquinanti con soluzioni pulite e accessibili. A tal proposito, era stata persino alimentata l’illusione che bastasse riempire i tetti di pannelli solari e piantare pale eoliche sui crinali per ottenere un’energia abbondante, pulita e a basso costo. Invece, ha costruito un sistema più costoso, instabile e burocratizzato. Le promesse si sono trasformate in vincoli e il progresso in un rituale ripetitivo dove il cittadino paga e tace. È in sostanza il tipico esito di un processo calato dall’alto, pensato a tavolino, scollegato dai meccanismi che regolano efficacemente il coordinamento tra domanda e offerta.

I numeri non mentono. In Italia, il costo dell’elettricità rimane tra i più alti in Europa. Le imprese faticano a competere con quelle tedesche o francesi. I cittadini vedono crescere le bollette mentre la retorica dominante continua a promettere un futuro radioso. Intanto, le fonti cosiddette “verdi” coprono quasi metà della produzione elettrica, ma il sistema non regge senza la presenza costante di centrali a gas o a carbone. Impianti considerati obsoleti sul piano ideologico, ma indispensabili per evitare blackout nei momenti di picco. Impianti che nessuno vuole più finanziare, ma che devono rimanere accesi.

Lo ha ricordato il recente Rapporto Adeguatezza Italia di Terna. E lo confermano gli eventi del 1° maggio scorso, quando per otto ore consecutive il prezzo dell’elettricità è sceso a zero: paradossalmente, la produzione solare abbondante e la bassa domanda festiva hanno dimostrato quanto sia fragile un sistema che non può reggere senza costose riserve convenzionali pronte ad attivarsi appena il sole tramonta o il vento si ferma.

L’energia solare ed eolica ha certamente un costo marginale basso, ma non è stabile. Non si può accumulare su larga scala, non è disponibile a richiesta. E questo significa che non può essere la base di un sistema senza forti correzioni. Di conseguenza, lo Stato, o chi per esso, è costretto a intervenire: impone, incentiva, programma, sovvenziona. La rete elettrica deve essere rafforzata, le centrali convenzionali mantenute in vita, gli operatori garantiti nei ricavi. Tutto questo ha un costo enorme che ricade su chi consuma. E mentre si celebra il “Reddito energetico nazionale”, destinato alle famiglie con Isee basso per dotarsi gratuitamente di impianti fotovoltaici, si dimentica che questi fondi non nascono dal nulla: sono finanziati dalla fiscalità generale o da sovrapprezzi in bolletta. In altre parole, ciò che si regala a qualcuno viene fatto pagare a qualcun altro.

Ma c’è un altro aspetto più sottile: la dipendenza. Non quella da una fonte, ma da una struttura centralizzata di decisioni. Le scelte sulle fonti, sui modelli di generazione, sulla distribuzione vengono prese in ambiti sempre più ristretti. Non c’è concorrenza reale, non c’è sperimentazione libera, non c’è responsabilità individuale. Ogni deviazione è vista come sabotaggio. Se si propone una fonte alternativa, come il nucleare di nuova generazione, si viene accusati di remare contro. Se si suggerisce di modificare il sistema di formazione del prezzo dell’elettricità, si sollevano barricate.

Chi produce energia da rinnovabili gode di condizioni eccezionali. Vende tutto quello che genera, ha priorità nella rete, si muove in un mercato dove il prezzo non è legato ai propri costi, ma a quelli della fonte più cara utilizzata in quel momento. In pratica, anche quando il sole abbonda, il prezzo resta alto se serve un chilowattora da gas. E quel prezzo si applica a tutta l’energia venduta, garantendo margini che nessun altro settore economico può permettersi. È un sistema che premia chi si muove dentro confini ben stabiliti, non chi innova o rischia. E anche quando i prezzi scendono momentaneamente, come avvenuto a inizio maggio, i costi di rete e sistema restano invariati o addirittura aumentano.

Non è la tecnologia in sé a essere in discussione. È il metodo con cui la si impone. Un vero progresso nasce quando le persone sono libere di scegliere, confrontare, testare. Invece, qui si stabiliscono obiettivi rigidi, si indirizzano gli investimenti in un’unica direzione, si bloccano soluzioni che potrebbero sfidare lo status quo. Tutto questo produce stagnazione e frustrazione. Le imprese più dinamiche si trovano a dover adattare le proprie strategie a un quadro vincolante. I consumatori vedono ridursi le alternative e aumentare i costi.

Anche le grandi promesse sull’autosufficienza energetica si rivelano fragili. I materiali per le batterie, i pannelli e le turbine arrivano da paesi extraeuropei, spesso in condizione di monopolio. La dipendenza semplicemente si sposta: non si importa più gas, si importano componenti. Ma il potere negoziale rimane altrove, mentre la retorica dell’autonomia energetica viene ripetuta senza fondamento, come un mantra che nasconde nuove vulnerabilità. E mentre si continua a parlare di comunità energetiche rinnovabili, in Italia ne risultano attive appena 212, con una potenza installata irrisoria: meno dell’1 per cento dell’obiettivo fissato dal Pnrr per il 2026.

Ciò che manca è un quadro aperto, dove le tecnologie si confrontano sul campo, dove l’innovazione non è definita da regolamenti ma da risultati. Un sistema che premia la soluzione più adatta al momento e al contesto, non quella ideologicamente accettata. Un contesto in cui le persone possano adattare i propri comportamenti senza costrizioni, e le imprese possano investire senza dover interpretare umori normativi o previsioni governative.

Come ha scritto Julian L. Simon: “Il carburante principale per accelerare il progresso del mondo è il nostro patrimonio di conoscenze; i freni sono la nostra mancanza di immaginazione e le regolamentazioni sociali errate su queste attività”. Nulla come la produzione di energia rende evidente questo principio: ciò che dovrebbe liberare, spesso viene ostacolato da regole inadeguate e scelte imposte, più che guidato dalla conoscenza e dall’iniziativa.

Finché questo non cambia, l’energia verde rischia di restare, più che una conquista, una narrazione conveniente per chi decide e un costo crescente per chi subisce.

Aggiornato il 19 maggio 2025 alle ore 09:55