Il risiko bancario in poche parole

Come nel gioco del risiko, così nelle grandi partite tra colossi bancari si consumano strategie che combinano attacchi, difese e contro attacchi per assicurarsi posizioni di vantaggio, o almeno per non soccombere, sul terreno complesso dell’economia italiana ed europea. Sempre come nei giochi di strategia più avvincenti, una mossa imprevista può scardinare equilibri che apparivano consolidati. L’ultima azione di quello che è noto, non a caso, con l’appellativo di “risiko bancario” è spettata a Mediobanca, che il 28 aprile ha annunciato un’offerta pubblica di scambio (ops) su Banca Generali.

Il meccanismo è semplice. Attualmente, Mediobanca detiene il 13,10 per cento delle azioni di Generali (compagnia assicurativa), che a sua volta dispone del 51,029 per cento delle azioni Banca Generali (istituto orientato principalmente al wealth management, quindi alla gestione di patrimoni ingenti). Se il progetto andasse in porto, Mediobanca cederebbe le sue quote in Gruppo Generali in cambio della totalità delle azioni Banca Generali. Ne conseguirebbe un duplice risultato per l’istituto fondato da Enrico Cuccia, il celebre e divisivo regista del capitalismo italiano del dopoguerra, ora guidata dal milanese Alberto Nagel.

In primo luogo, sotto le insegne di Mediobanca confluirebbero oltre 500 uffici (200 già di Mediobanca e 300 provenienti da Banca Generali) su tutto il territorio nazionale. Nagel mira così di realizzare “un’integrazione industriale fra wealth management e investment banking, settore di cui lo stesso Cuccia fu precursore. L’ipotesi di assorbire Banca Generali circolava da anni nell’elegante Palazzo Visconti-Ajmi, storica sede Mediobanca. La decisione definitiva è stata accelerata dall’imminenza di un’altra offerta pubblica di scambio: quella di Monte dei Paschi (Mps) sulla stessa Mediobanca. La formazione di un unico grande gruppo Mediobanca-Banca Generali aiuterebbe, quindi, a scompaginare l’offensiva della banca senese, la più antica al mondo, che si è ripresa mirabilmente, dopo il salvataggio pubblico, grazie al lavoro del duo formato da Luigi Lovaglio (amministratore delegato e direttore generale) e Maurizio Bai (vicedirettore generale vicario).

Riprendendo il parallelismo con il risiko, non si può valutare una mossa se non all’interno del contesto in cui viene compiuta. Non si possono dunque ignorare le ambizioni dell’altro istituto milanese: Unicredit. La banca dall’iconico “spuntone”, come lo chiamano affettuosamente i milanesi, che buca il cielo sopra modernissima piazza Gae Aulenti è guidata dal presidente Pier Carlo Padoan, economista e ministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, e dall’amministratore delegato Andrea Orcel, avventuroso banchiere d’affari già esperto di “risiko”, avendo maturato un’esperienza ventennale nelle acquisizioni e fusioni (in gergo, M&A) per conto di Merrill Lynch, a Londra, prima di presiedere la svizzera Ubs Investment Bank. È stato Orcel a lanciare un’offerta pubblica di scambio da 10,1 miliardi su Banco Bpm.

La proposta, che prevedeva lo scambio di ogni azione Banco Bpm con 0,175 azioni Unicredit, è stata immediatamente respinta in quanto giudicata troppo bassa. L’acquisizione di Bpm, che nella declinazione completa di Banco Popolare di Milano rende meglio l’idea del suo radicamento territoriale, consentirebbe a Unicredit di accrescere la sua quota di mercato in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

In difesa di Banco Bpm è intervenuto anche il governo esercitando il golden power, uno strumento giuridico che permette all’esecutivo di bloccare o apporre condizioni su specifiche operazioni finanziarie in tutela di interessi strategici nazionali. Nel caso in questione, si teme che un’eccessiva concentrazione bancaria sotto la guida di Unicredit possa ridurre le alternative di finanziamento per le aziende e le famiglie italiane.

Inoltre, Banco Bpm è un gioiello da preservare, in quanto opera esclusivamente entro i confini nazionali e indirizza “il più possibile i fondi verso i titoli italiani e non solo titoli di Stato, ma anche gli investimenti in un mercato borsistico abbastanza debole”, come ha sottolineato l’amministratore delegato Giuseppe Castagna a margine dell’ultima assemblea annuale.

Diversamente, Unicredit, nonostante abbia il suo quartier generale nel grattacielo più inconfondibile di Milano, è a tutti gli effetti una banca internazionale, con il 65 per cento delle attività all’estero e le mani sulla tedesca Commerzbank. Le condizioni imposte dal Governo per consentire l’acquisizione di Banco Bpm vincolerebbero la gestione a mantenere una forte presenza nel Paese, impedendo, ad esempio, la chiusura di sportelli Bpm in Lombardia e la riduzione del rapporto tra impieghi e depositi (quindi di fatto l’istituto non dovrebbe diminuire l’erogazione di credito in rapporto ai depositi dei correntisti).

Tali vincoli, che durerebbero cinque anni, non fanno demordere Orcel e Unicredit non esclude di proporre un rilancio, pur chiarendo che non procederà “a ogni costo”. Intanto, Banco Bpm ha già portato a termine un’acquisizione strategica, rilevando il controllo della principale società italiana indipendente di gestione del risparmio, Anima Holding, di cui ha acquisito l’89,95 per cento del capitale. Questa mossa riflette l’ambizione di Bpm a mantenere la propria autonomia e crescere indipendentemente dalle mire di Unicredit. Da segnalare anche la precedente acquisizione del 5 per cento di Monte dei Paschi.

L’uscita di Mediobanca da Generali (a favore dell’entrata in Banca Generali) aprirebbe le porte a nuove potenziali contese per una ridefinizione dei rapporti di forza tra i suoi azionisti principali. A tale proposito, Unicredit ha aumentato il suo controllo sull’istituto in vista del rinnovo del Consiglio d’Amministrazione.

Orcel ha rassicurato che si è trattato di una scelta puramente di investimento, motivata quindi dagli elevati ritorni economici e non da logiche di potere. Considerata la storia di Orcel, tuttavia, le domande sulle reali ambizioni del banchiere d’affari permangono, tanto che Philippe Donnet, amministratore delegato del gruppo, gli avrebbe fatto visita nella Torre Unicredit, come a volerne tastare le vere intenzioni.

Secondo i bene informati, inoltre, l’appoggio offerto da Orcel a Caltagirone, altro azionista di peso di Generali, potrebbe essere motivato dalla vicinanza al governo del potente imprenditore romano che, tra le altre attività, è influente nel settore dell’informazione. Questa “alleanza” tra i due affaristi, così diversi tra loro ma accumunati dalla determinazione a guidare il risiko bancario in corso, potrebbe aiutare Orcel nella partita con Banco Bpm e Caltagirone a far pesare le sue quote all’interno di Generali.

Si tratta di ipotesi, ma già Cuccia, in tempi oramai lontani, sosteneva che le azioni non si contano ma si “pesano”, riferendosi al fatto che il potere in una società non dipende soltanto dalle quote che si possiedono ma soprattutto dalle reti di relazioni che si riescono a instaurare tra gli azionisti.

In questa particolarissima “partita di risiko”, sorge spontanea una questione raramente considerata: cosa cambia per i cittadini, quindi per i piccoli investitori e risparmiatori? Al termine delle operazioni bancarie in essere, vedranno una riduzione del costo del credito e delle commissioni, magari accompagnata da un rialzo della remunerazione dei depositi e delle polizze?

Queste domande non hanno ancora una risposta chiara, ma il compito di formularla spetta soprattutto alle autorità coinvolte in tutte le offerte pubbliche di scambio, dalla Consob allIvass, dall’Antitrust a Banca dItalia. Il loro lavoro, insieme a quello della Bce e della Commissione europea, è fondamentale non soltanto per svolgere la fondamentale attività di vigilanza, ma anche per garantire la concorrenza necessaria nel mercato creditizio.

Da parte sua, il governo avrà occasione di dimostrare la sua propensione a tutelare i risparmiatori italiani, mostrando la giusta attenzione per chi questo risparmio lo deposita o lo investe in Italia.

Aggiornato il 06 maggio 2025 alle ore 10:13