
Il volume Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza commentato ed annotato con la giurisprudenza dal dottor Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno, edito da Duepuntozero, piccola ma importante realtà editoriale nazionale, è un’opera completa e attualissima.
Il lavoro, presentato il 23 aprile alla Link University, in un interessante convegno, dove hanno partecipato avvocati, magistrati, commercialisti e rappresentati istituzionali, è stata l’occasione per condividere qualche riflessione su un tema di grande attualità e, direi, di crescente centralità nel dibattito economico e giuridico quello, appunto, della crisi d’impresa e l’insolvenza.
Il tema infatti è di particolare interesse atteso che le imprese italiane si trovano a operare in un contesto segnato da forti cambiamenti, incertezza e nuove responsabilità, avere occasioni come questa, di confronto e di approfondimento, è quanto mai prezioso. La disciplina sulla crisi d’impresa introduce, infatti, elementi di grande novità, che vanno ben oltre il semplice aggiornamento normativo.
Gli intervenuti hanno parlato, non a torto dal mio punto di vista, di una vera e propria evoluzione culturale, che invita a ripensare il modo in cui le imprese affrontano le difficoltà e si rapportano con i propri stakeholder, inclusi gli investitori, i creditori e – in senso più ampio – il mercato.
Tra i tanti, uno degli aspetti più interessanti ed innovativi per il mercato finanziario riguarda sicuramente l’attenzione alla prevenzione. In effetti dalla analisi del testo (e ancor più dai commenti e dalle annotazioni presenti nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza ben si comprende che non si tratta più soltanto di intervenire quando la crisi è conclamata, ma di saperla intercettare per tempo, di leggere i segnali deboli, di dotarsi di strumenti ed assetti interni che consentano di affrontare in modo tempestivo eventuali squilibri.
Questo approccio anticipatorio ha implicazioni importanti per tutte le imprese, ma in particolare per quelle vigilate dalla Consob, l’autorità di controllo dei mercati finanziari, che operano in mercati regolamentati e che, proprio per questo, sono chiamate a un livello più elevato di trasparenza, di responsabilità e di consapevolezza nella comunicazione verso l’esterno. L’introduzione di misure come gli indicatori della crisi, l’allerta e la riformulazione del ruolo degli organi societari va letta non tanto come un irrigidimento della disciplina, ma piuttosto come un invito a integrare sempre di più la gestione della crisi all’interno della normale governance aziendale. È chiaro che questo implica uno sforzo organizzativo, ma è anche vero che può tradursi in un’opportunità: per rafforzare la resilienza dell’impresa, per migliorare il dialogo con il mercato, per mostrare credibilità nei momenti difficili.
Sappiamo quanto la qualità dell’informazione finanziaria sia determinante per il buon funzionamento del mercato. In situazioni di crisi, questo principio acquista ancora più valore. Una comunicazione tempestiva, chiara e corretta non solo tutela gli investitori, ma consente all’impresa stessa di essere compresa, di trovare alleanze, di negoziare soluzioni. È un elemento che può davvero fare la differenza, anche in termini reputazionali e di accesso al capitale.
Altro tema non meno importante è l’attenzione crescente verso la sostenibilità. Il nuovo impianto normativo dialoga sempre più spesso con concetti come la responsabilità sociale d’impresa, l’integrazione dei fattori Esg e la necessità di valutare l’impatto delle scelte aziendali non solo sotto il profilo economico, ma anche sociale e ambientale. Le imprese che riescono a coniugare solidità economica e responsabilità sociale saranno, con tutta probabilità, quelle più capaci di affrontare le sfide del futuro.
Quello che il nuovo Codice ci suggerisce, in fondo, è di abbandonare la logica emergenziale nella gestione della crisi, e di sostituirla con una visione più strategica, più lungimirante, più integrata. E per le società vigilate da Consob, questo significa anche poter contare su un quadro normativo più chiaro, più coerente, più orientato a costruire fiducia nel sistema.
In conclusione, credo che questo Codice non vada visto solo come un insieme di obblighi, ma anche – e forse soprattutto – come uno strumento per accompagnare le imprese in un percorso di crescita, di consapevolezza e di rinnovamento. E ci auguriamo che possa davvero rappresentare un’occasione per rafforzare il tessuto economico e contribuire, tutti insieme, a un mercato più solido, più trasparente e più sostenibile.
Tuttavia, va rilevato – e la questione è emersa chiaramente nel dibattito – come sia ormai imprescindibile intervenire per completare il quadro normativo delineato dalla nuova disciplina del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, riadattando al mutato contesto anche l’aspetto penalistico.
In effetti, appare sempre più urgente l’elaborazione di un nuovo diritto penale concorsuale, che sia coerente con l’impianto riformato e con la nuova visione anticipatoria e gestionale della crisi. Il permanere di un diritto penale ancorato a categorie e logiche proprie del superato sistema fallimentare determina un evidente disallineamento con i principi e le finalità del nuovo Codice, generando incertezze applicative e potenziali violazioni del principio di legalità. È quindi necessario ripensare l’intero assetto penale in materia concorsuale, aggiornando le fattispecie incriminatrici e calibrando meglio l’intervento repressivo, affinché da un lato si continui a colpire con efficacia i comportamenti fraudolenti, e dall’altro non si disincentivi l’imprenditore onesto dal ricorrere tempestivamente agli strumenti di regolazione della crisi previsti dalla legge.
Solo un diritto penale moderno, funzionale e coerente con le nuove esigenze del sistema, può garantire un equilibrio tra la necessaria tutela dei creditori e la promozione di una cultura della prevenzione e della responsabilità nella gestione d’impresa.
(*) Economista
Aggiornato il 24 aprile 2025 alle ore 17:51