Intellettuale e opinionista

Il termine intellettuale viene distribuito con la facilità del volo delle farfalle. Basta scrivere per essere considerati intellettuali. O anche parlare, intendiamoci. In tale maniera, saremmo intellettuali, universalmente. Il che equivarrebbe a non esserlo alcuno. Chi è l’intellettuale? È colui che mette in dubbio, che sente come problematico quanto viene accettato, senza problemi, dal resto dell’umanità. Intellettuale è Giacomo Leopardi, che si poneva la grande questione di come mai stesse a esistere la Luna in cielo. La gente vede la Luna in cielo, la guarda e passa oltre. Leopardi la interroga. È assurdo? Certo che è assurdo, ma non più di quanto lo sia vedere la Luna in cielo e non chiedersene ragione. Com’è evidente, l’intellettuale è colui che chiede ragione all’esistenza delle ragioni dell’esistenza, del come mai esiste l’esistenza. E quel che per gli altri è ovvio, per l’intellettuale ovvio non è. Dico il vero intellettuale, colui al quale si può attribuire degnamente questo termine. Poniamo la questione dell’essere. Quando si dice che esiste l’essere, l’intellettuale non si limita a questa affermazione, ma si pone l’interrogativo: come mai esiste l’essere?

Quando si dice che esiste Dio, l’intellettuale non si limita a dire che esiste Dio, ma ancora una volta si interroga: come mai esiste Dio? A questo proposito, ricordo una divertente circostanza. Ho scritto dei libri intitolati: Il padre di Dio, Dio e la sua ombra, Oltre Dio. Metafisica del Nulla. Lucio Caracciolo, presentando uno di questi libri, disse giustamente che ponevo interrogativi che non si ponevano più, non concepiti da altri. È così. Rendere problematico l’ovvio è l’essenza dell’intellettuale. L’intellettuale vive nella realtà, ma non considera normale vivere nella realtà. L’intellettuale non ha la visione della normalità come evento normale. Il che è di pochissimi. Quindi noi attribuiamo il termine intellettuale a persone che sono lontanissime dall’essere intellettuale e che neanche hanno l’idea di chi sia l’intellettuale. Fernando Pessoa era un intellettuale, in quanto considerava strabiliante ciò che per gli altri era normale, l’individuo. In Pessoa, l’individuo era un problema. Era lui, ma non voleva essere lui.

Si negava esistendo. È una situazione incredibile, ma propria dell’intellettuale: esistere ma non saper esistere, non volere esistere come quel preciso esistente, sentendosi nulla pure esistendo, ma sentendosi nulla esistendo soffriva immensamente di essere nulla, appunto perché lo sentiva, quindi cambiava nome per sfuggire a questa condizione, ritrovando un’individualità comunque, quindi cambiava ancora e ritrovava un’ulteriore individualità. Non poteva sfuggire all’individualità pur volendo sfuggire. Si dirà: sono situazioni ai limiti o dentro la patologia. Assolutamente falso, è il contrario. Questo tipo di intellettuale è proprio colui che ha il coraggio e la disposizione a toccare l’incomprensibile. Perché c’è qualcuno che sa spiegare come mai esiste l’esistenza? No. Eppure nessuno si pone il problema. E i pochissimi che se lo pongono vengono considerati anomali. Attenzione, non si tratta del banalissimo assurdo, ma dell’inspiegabile, che è tutt’altra cosa. L’assurdo è qualcosa che accade rispetto a qualcosa che assurdo non è. L’inspiegabile è qualcosa di cui non sappiamo spiegarci l’esistenza. Quindi non è assurdo, è inspiegabile. L’essere non è assurdo, è inspiegabile. L’individuo che deve accertarsi come individuo, ma ne sente la prigionia, è un interrogativo che l’uomo fa a sé stesso quando non vuole essere sé stesso.

La prigionia che subisce contro il suo volere e dalla quale però non può sfuggire. Queste condizioni, ripeto, di pochissimi che meritano il termine di intellettuale, hanno ben altro fondamento dell’opinione corrente che attribuisce a delle persone la qualità di intellettuale. Più che altro sono persone che hanno delle opinioni, il che non ha nulla a che vedere con la problematicità dell’intellettuale. L’intellettuale rende problematico ciò che per gli altri è ovvio, l’essere, l’individuo, l’opinionista non fa altro che dare delle connotazioni personali alla realtà. Ed è la cosa più banale che possa accadere. Di intellettuali, nel senso che ho detto, ho conosciuto soltanto Alberto Moravia, soprattutto nelle opere ultime, quando rese problematico il rapporto tra l’uomo e la realtà. Non approfondì la questione. Aveva disposizioni più narrative che problematiche. Ma in ogni caso intuì che il vero problema dell’uomo è come mai esiste l’essere.

Per il resto, ho conosciuto opinionisti, i quali dicono quello che sentono di dire, ma non oltrepassano la soggettività delle opinioni. È la conoscenza dell’ovvio, ad esempio consumismo, omologazione, mutazione antropologica, tanto per rifarmi alla nomenclatura di Pier Paolo Pasolini. Nomenclature che non significano alcunché e non oltrepassano l’opinione, anche perché è facilissimo contraddirle. Il consumismo: perché è criticabile quando la gente moriva di fame prima? E omologazione che significa in concreto? Che tutti siamo diventati uguali? E mutazione antropologica, che vuol dire? Che abbiamo quattro gambe? La società dei consumi la rimpiangeremo. Si prospetta una povertà generalizzata tremenda. In quanto all’omologazione e alla mutazione antropologica sono parole. La mutazione antropologica ci sarà, ma è la sostituzione dell’uomo, non la mutazione dell’uomo. Sarà il robot intelligente che sostituirà l’uomo. Ma non vale la pena di occuparsi di queste opinioni. Si prospetta un futuro problematico. E non di problematiche esistenziali, che sono esterne e insolubili, ma di problematiche sociali che esigono serietà risolutiva, non parole.

Aggiornato il 12 novembre 2025 alle ore 12:20