Il cinquantesimo anno di un omicidio: Pier Paolo Pasolini

Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini nel 1963. Avevo pubblicato su Nuovi Argomenti, la rivista di Alberto Moravia, un saggio che ebbe risonanza mondiale per la fama della rivista e perché era il primo testo organico della letteratura italiana fino agli anni Sessanta. Fui molto amico di Moravia, persona colloquiale come poi non ne incontrai, e conobbi moltissimi intellettuali. Pasolini era di media altezza, di corpo snello e duro, intagliato come nel legno, occhi non gradevoli, fronte ostinata e capelli rasi, una vocetta esile e garbata, la bocca molto lunga e sottile e mani di fabbro. A quel tempo viveva a Monteverde e cominciava a stare benino, a guadagnare. Aveva già pubblicato testi riusciti dal punto di vista della notorietà, Le ceneri di Gramsci, Ragazzi di vita, Una vita violenta e credo iniziasse attività cinematografica. Ebbi con Pasolini un rapporto continuativo, un gruppo associato, Moravia, che ormai stava con Dacia Maraini, Pasolini, appunto, Bernardo Bertolucci, Enzo Siciliano, ed io. Ma, intendiamoci, erano persone con estrema diffusione relazionale. Quando io mi accompagnai con Elsa De Giorgi, amica di Pasolini, questi veniva di frequenza da noi, in via di Villa Ada, 4, (Villa Savoia) o ci vedevamo dal Bolognese in Piazza del Popolo.

Pasolini vibrava di un’ossessiva urgenza di affermarsi e percepì che il tramite dell’affermazione di uno scrittore era la politica, segnatamente a quel tempo parteggiare per il cattolicesimo o per il comunismo. Abile in queste movimentazioni. Da noi incontrava monsignor Giovanni Fallani, personaggio del mondo cattolico; i loro incontri erano proficui, Pasolini cominciava attività cinematografica e aveva occorrenza del visto per le sale cattoliche, e Fallani gli serviva al fine. Quando diresse Uccellacci e uccellini, nel quale mi chiese di riprendere un mio primo piano, gli recensii il film nella rivista Orizzonti dei Paolini, gli servì moltissimo. Teneva al mondo cattolico e al mondo comunista, sceglieva addirittura i titoli dei suoi film e dei suoi libri con intestazioni comuniste o cattoliche: Le ceneri di Gramsci, L’usignolo della chiesa cattolica, Il Vangelo secondo Matteo e tante altre notazioni nei testi. Aveva formulato una sua visione della società, la ripeteva e non si smuoveva: omologazione, critica alla società dei consumi e un’aspirazione che condivideva con Elsa Morante di una presunta ingenuità paradisiaca del terzo mondo, dei ragazzini, dei poveri, era sentitamente legato a questo terzo mondo sia geograficamente (India, Africa) sia nelle nostre borgate.

Ma non bisognava limitarsi a questa apparenza. Pasolini era uomo oscuro, un rovello interiore di difficile valutazione e comprensione, legato, avvintissimo alla madre, donna dal volto uguale al volto di Pasolini negli ultimi anni, quasi il dolore, la stanchezza, la sconfitta scalpellassero in un marmo umano i segni. Viveva, Pasolini, questo mondo occultato come una seconda realtà. La sera, quando eravamo al Bolognese o veniva da noi, sempre o spesso in abiti di pelle, giacconi o cappotti, ad una certa ora se ne andava, con l’alfetta, non a casa, piuttosto al Colosseo, a Caracalla, dove lo traeva il “peccato”. Era il “suo” mondo, che lo obbligava e dal quale usciva violento e violentato, irresistibilmente. Un mondo che sarebbe stato strabiliante se lo avesse rappresentato nella pienezza degli adempimenti infernali. Tentò cinematograficamente: Salò o le 120 giornate di Sodoma.

Era legato ad un ragazzetto simpaticissimo, Ninetto Davoli; il quale commise un atto incredibile, si congiunse con una ragazza. Pasolini ne soffrì mortalmente. E si incatenò nella voglia distruttiva. È il cinquantenario del massacro. Pasolini non fu soltanto ucciso. Fu massacrato. Quel rendersi vittima e carnefice nei suoi incontri bui nella notte della mente ebbero compimento più atroce del sadismo, del masochismo che lo inserpentivano. Ormai fisicamente debilitato, magrissimo, incavato, stremato. Voleva morire? Ma quella morte non fu il senso di colpa invocato da un peccatore, fu un atto spregiativo che Pasolini non meritava. Forse non voleva continuare a vivere, non aveva forze per vivere, né ragioni per vivere, ma c’è modo di voler morire per mano altrui. E se Egli cercava la morte, fu la morte a cercare Lui. Un delitto non un suicidio travestito! Chi sa, addirittura voleva ancora vivere, Pier Paolo Pasolini mentre era ucciso!

Aggiornato il 29 ottobre 2025 alle ore 09:10