
Keira Knightley è la protagonista assoluta del thriller hitchcockiano firmato da Simon Stone. Il regista australiano, dopo il drammatico The Daughter (2015) e lo storico La nave sepolta (The Dig) del 2021, adatta il bestseller di Ruth Ware La donna della cabina numero 10 (The Woman in Cabin 10), con uno sguardo all’intreccio giallo tipico di Agatha Christie. Il film, prodotto da Cbs Films, Sister Pictures e Gotham Group, distribuito su Netflix dal 10 ottobre, in 94 minuti racconta la storia di Laura Blacklock (una convincente Keira Knightley), una giornalista del quotidiano indipendente britannico Guardian, che riceve l’invito a una crociera di beneficenza nell’Europa del Nord per scrivere un articolo. Il viaggio, organizzato su un lussuoso yacht, l’Aurora Borealis, diretto in Norvegia, è promosso da Anne Bullmer (Lisa Loven Kongsli), un’ereditiera malata terminale e dal bramoso marito Richard Bullmer (un mefistofelico Guy Pearce). A bordo, oltre al numeroso equipaggio, sono presenti alcuni facoltosi ospiti, fra cui il fotografo Ben Morgan (un remissivo David Ajala), ex compagno di Laura.
Nel corso della prima notte, la giornalista vede cadere in acqua una donna dalla cabina numero 10, che si trova accanto alla sua. Naturalmente dà l’allarme. Ma nessuno crede al suo racconto. Anche perché presto si scopre che nell’alloggio non era registrata alcuna passeggera. In un crescendo rossiniano di ansia, paura e isolamento, Laura tenta di scoprire la verità. Il lungometraggio, claustrofobico e insieme elegante, raggiunge il proprio climax con un andamento approssimativo. Ma la scelta narrativa è il racconto. A questo proposito, Simon Stone, seppure, con tutta evidenza coltivi l’ambizione di girare la storia di una “donna che visse due volte”, non possiede gli strumenti essenziali per creare la suspense necessaria. Così, con il disvelamento dell’intrigo, la tensione si affievolisce fino a spegnersi del tutto.
È un vero peccato. Perché la storia avrebbe consentito di adottare decisioni più sicure per una messa in scena più efficace. Il risultato finale delinea un discontinuo thriller psicologico infarcito di spunti inespressi. Keira Knightley, con la sua presenza magnetica, si carica l’intero film sulle sue esili e spigolose spalle. Nevrotica, insicura, eppure determinata a scoprire una verità sconcertante ma prevedibile. Il suo conflitto solitario si trasforma presto in un dramma della fiducia. L’attrice britannica offre un’interpretazione asciutta e vivida, in un giallo che predilige le atmosfere sublimate alla compiaciuta ultraviolenza. Simon Stone riesce a conferire ritmo alla prima parte del racconto creando un labirinto costellato da corridoi tenuti e vetri appannati. Ma il film perde progressivamente la dimensione psicologica che lo rende affascinante. Il regista, che dirige un film fin troppo compassato dal raffinato impianto visivo, non approfondisce degnamente il meccanismo del gaslighting, una forma subdola di manipolazione psicologica che porta la vittima a mettere in dubbio i propri ricordi.
Aggiornato il 17 ottobre 2025 alle ore 17:18