
Il genio e la tecnica non sono compatibili. L’uno crea, l’altra ripete. Il genio vive nella feconda transizione tra il non essere e l’essere, ponendo in luce ciò che non è mai stato, la tecnica cataloga, tesaurizza, realizza una prassi di ripetizione costante. La tecnica possiede le chiavi di questo tempo. È il destino finale dell’uomo perché crea un mondo post umano fatto di utensili e oggetti che hanno l’importanza massima sulla scala del valore in quanto utili. L’uomo si orienta tra questi oggetti come in un mondo artificiale, dove è stato reciso il suo contatto con la natura. Il genio invece vive nella vicinanza all’esperienza naturale, che imita, rielabora, ricostituisce, a partire dalla visione che egli realizza del clamore dell’essenza naturale. Da ciò l’ispirazione, e la teoria estetica. Ma come fare oggi teoria estetica in mezzo a mondi dell’ispirazione in rovina? Il mondo di oggi non ha più niente da raccontare ai poeti, se non l’aridità del medesimo, del già visto e già sentito, della predisposizione tecnica che calcola e anticipa l’essente in ragione della sua utilità. Il mondo di oggi è quello dell’utile: se al tempo di Friedrich Hölderlin, il poeta cantava del congedo finale degli dei, perché già preavvertiva la tendenza fondamentale del tempo che sarebbe venuto, come del suo intriso già di ragione calcolante, oggi non vi è nemmeno più una coscienza aperta alla lucentezza dei fenomeni naturali.
Oggi sono gli stessi poeti, e i filosofi con la loro eterna volontà di conoscenza cosmica, a essere stati scacciati, allontanati per il semplice fatto che il puro rapporto con l’assoluto è impossibile. Per questo sarà molto difficile che ci saranno altri Martin Heidegger, altri Friedrich Schelling, altri Georg Wilhelm Friedrich Hegel o altri Friedrich Schiller, altri Holderlin o altri Rainer Maria Rilke. Nel congedo dalla natura, lo spirito non può riabbracciare l’oggettualità negata, ma vivere solo nel mare salato della ripetizione antropica e della produzione tristemente uguale della merce. Questa è la catastrofe dello spirito che più non tornerà all’origine dopo aver visitato terre straniere. Ma come fare a dimenticare il bagliore di cieli azzurri come quello della Grecia, e della bellezza della sua arte e del suo creato, e dei suoi templi dorici magnifici e luminosi, delle statue di Apollo e Artemide di Latona, e poter vivere con la stessa coscienza nell’indifferenza senz’anima di una civiltà decaduta come questa? Siamo lontani dal tempo classico, e dall’arte ingenuamente pura dei greci, così vicina alla fecondità naturale tanto che l’artificio estetico poteva dirsi opera di un’eterna e formidabile anima, immane e dorata, olimpica, e la manifestazione naturale poteva essere anche il frutto di un genio artistico, ispirato da ninfe e fauni operosi in un bosco; siamo lontani dal concepire di nuovo come la forma e il contenuto possano raggiungere nell’arte il loro perfetto equilibrio, come al tempo dei greci in cui il genio dell’uomo e la pienezza naturale nella loro essenza non erano mai stati così a ridosso l’uno dell’altro; siamo lontani dalla forma rigogliosa del sentimento estetico straripante di bellezza, forse è un cammino perduto per sempre, non si possono ripercorrere i passi di naviganti in mezzo ai mari di Omero, o forse no, rimane ancora la possibilità per chi voglia mettersi in viaggio su sentieri troppo presto, tristemente interrotti anche in un tempo lontano da mondi aurorali, e da consapevolezze ottenute nell’ora panica del meriggio, di riabbracciare l’esperienza del genio.
Per mirare al ritorno del genio si può dare un solo atteggiamento che vada oltre il sentimentale di Schiller, in quanto atteggiamento che voleva ritrovare la purezza perduta del fare poetico e poietico ingenuo, nel mondo moderno dell’idealità raziocinante della scienza fisica e matematica, e quindi di un mondo intriso di materialità e corporeità fiscalista com’era quello post cartesiano già di fine settecento. Certo, il materialismo si è incancrenito e diventato più radicale da allora, perciò il sentimentale deve trasformarsi, a causa della freddezza anti artistica di questo mondo, in una nuova forma di sentimentale titanico. È un compito immane, degno di Prometeo ladro del fuoco, che corre su un sentiero stretto sul crinale di un monte impervio, tra due burroni giganteschi in cui basta un attimo per vacillare e cadere nel precipizio. Lo slancio del sentimentale titanico da una parte può infrangersi e sprofondare nel burrone dove risiede, a valle, il tempio sconsacrato della logica economica dell’utile, che richiama a sé ogni forma di energia dal mondo degli uomini, per darle il compito cieco e sempre uguale, quasi un’offesa alla dottrina dell’eterno ritorno, di ottenere la massima quantità di denaro da ogni transazione vitale.
Energia per forme di denaro, non energia in luogo di creazione poetica o ricerca di nuovo sapere. La strada per ritrovare il genio è accidentata, malgrado questa civiltà dichiari di aver spianato il cammino dell’uomo e di essere arrivata a vette mai raggiunte. Quale sinistra e faustiana illusione. L’altro baratro, insidioso, che corre parallelo e in cui, rapidi, si può perdere se stessi, è quello segnato dall’assenza di compagni lungo la via, perché la tecnica e il mondo della ripetizione immediata rendono questo mondo una gabbia di ferro dove alla domanda del sé è difficile trovare la risposta pronunciata da un volto amico, a meno che la risposta non sia già conforme all’anticipazione che il fare tecnico predispone e richiama. Certo, ci sarebbe un modo per vivere ancora nel sentimentale, per vagheggiare una vita con il compito di instaurare di nuovo il detto della poesia, per guardare a patrie celesti e, come nella poesia di Hölderlin, a origini del cammino a cui ritornare con consapevolezze superiori.
È l’opera di ripetere il viaggio del poeta, di ripercorrere la via dell’arte e della ricerca filosofica che un tempo camminavano strette, cosa che il mondo del calcolo si è affrettato a dimenticare; ma quella verso il sapere sacro, antico è una via pericolosa perché la genialità non è l’arte di un momento o di un giorno, non vive nell’attimo, ma è il frutto di un intenso raccoglimento dentro se stessi, è un’opera in cui la soggettività guarda verso di sé, anche se non dimentica il mondo oggettuale esteriore, e le sue leggi, e il sapere traboccante che la natura regala al cuore motivato e ispirato di entusiasmo. Ma è opera titanica quella di raccontare ancora il mondo di oggi con mente poetica, anche se forse è l’unico cammino che trattiene la vita al di qua dell’attimo che scorre perché il clamore della gioventù scompare, gli anni passano presto ma quello che sempre permane è il raggiungimento dell’immediata ingenuità del pensare poetico che istituisce l’accordo tra il mondo umano e quello cosmico della natura spirituale.
Aggiornato il 13 ottobre 2025 alle ore 13:41