
Il cielo a Kabul è spesso azzurro e limpido, specialmente nelle stagioni secche e quando non infuriano le tempeste di sabbia. E poiché l’Afghanistan si estende tra Asia centrale e Asia meridionale, questa porzione è considerata un’area di passaggio da molte specie migratrici. Solcano i cieli il piccione selvatico, la maina dei passeriformi, il bulbul dai mustacchi rossi e la poiana che, insieme agli altri rapaci come il gigantesco avvoltoio barbuto e l’avvoltoio monaco, si rifugiano nei picchi delle montagne rocciose. Volano, volano incredibilmente liberi nei loro cerchi e percorsi, nelle impennate e nelle ascese. “Non è raro che le donne afghane dalle finestrelle degli occhi dei burqua si trovino, furtivamente, a scrutare e fissare quei voli, a inseguirli con la mente e il desiderio. Le donne afghane invidiano gli uccelli, letteralmente li invidiano. Perché gli uccelli sono liberi, gli uccelli vanno dove vogliono, gli uccelli partono e tornano, volteggiano e si posano e l’unica loro legge sono il vento e la natura”.
Zainab Entezar ha trentuno anni, è minuta, leggera, i suoi occhi sono neri come il carbone, la pelle color terra e i capelli lucidi risplendono di riflessi scuri. È piena di grazia, composta, educata, ma è come un vulcano che fuma lento nella misura di quanto arde dal cratere alla camera magmatica. Il cratere è la piccola e disegnata bocca di Zainab, che si muove lenta, che centellina e suona parole misurate, ma ogni parola è un evento, un fatto, una porzione di storia. La camera magmatica è “il suo Afghanistan” pieno di ricordi, di vissuto e di quelle vicende che Zainab Entezar, scrittrice, regista e attivista, laureata in giornalismo e amministrazione, dall’agosto 2021, quando sono tornati i Talebani a restaurare la dittatura islamica, racconta da rifugiata in giro per l’Europa.
All’attivo ha già tre libri. L’ultimo s’intitola “Fuorché il silenzio” e sono 36 storie di donne della sua terra, con la collaborazione di Asef Soltanzadeh (scrittore afgano emigrato in Iran e ora in Danimarca) e l’edizione italiana di Daniela Meneghini (docente di letteratura persiana alla Ca’ Foscari di Venezia) per Jouvence. La testimone sta portando il libro in un tour italiano sostenuto dalla Rete del Caffè sospeso e dal Festival di Cinema dei Diritti Umani di Napoli. La tappa romana è stata curata da Eleutheria di Isabel Russinova. Per l’occasione l’attrice, scrittrice e operatrice culturale ha presentato alla Galleria dei Miracoli di Roma un eccellente panel: Padre Ercole Ceriani, rettore di Santa Maria dei Miracoli; Laura Iucci, responsabile leadrship giving Unhcr Italia e al centro la protagonista, che si espressa in lingua dari, con la traduzione dell’efficiente Zara.
“Questo spazio non è per il silenzio, qui potete parlare” ha introdotto Padre Ceriani, che ha recentemente ospitato la scrittrice Dacia Maraini. “Parlare significa comunicare e informare, perché l’oppressione è un fatto culturale che deve cambiare attraverso l’educazione visto che anche in Italia, secondo i dati del Viminale, ogni mese otto donne vengono uccise”. Laura Iucci, per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, ha fornito una panoramica: “La maggior parte delle organizzazioni umanitarie sono state costrette a lasciare il Paese e a interrompere i progetti, i quali anche in conseguenza dei tagli e delle crisi stanno subendo significativi contraccolpi. Noi come Unhcr abbiamo deciso di restare in Afghanistan dopo il ritiro internazionale del 2021 per dare sostegno alla popolazione, alle donne, ai minori e ai fragili, considerando l’alto numero di profughi verso il Pakistan e l’Iran e gli attuali rientri volontari e i rimpatri. L’opinione pubblica non si deve abituare al disimpegno, dobbiamo lottare per affiancare queste popolazioni nel loro cammino per i diritti”. L’attività di Zainab Entezar anche nel campo dei documentari ne è una dimostrazione. È probabilmente l’unica donna che è riuscita a filmare col telefonino sotto il burqa la vita afghana, tutta al maschile, a parte le proteste femminili che hanno fatto impazzire i restauratori, i quali non hanno esitato a usare la forza per disincentivare altre manifestazioni. Scrive l’autrice a proposito di una militante: “Divenne famosa nell’arco di una notte, per il celebre gesto che compì mentre leggeva la dichiarazione finale dopo una marcia di protesta delle donne: un talebano le aveva puntato la canna del fucile per impedirle di leggere; lei l’aveva spinta indietro con la mano, e aveva continuato la lettura”.
“Far circolare immagini e narrazioni è importante”, ha specificato Isabel Russinova, illustrando il docufilm, a cui farà seguito un film in lavorazione sui settecento giorni della fuga dall’Afghanistan della coraggiosa protagonista con il marito e il figlio, appena nato a Kabul. “Delle storie commoventi e significative mi ha colpito quando Zainab racconta l’arrivo fisico dei talebani con i libri che spariscono, gli abiti nascosti fino all’episodio dell’arresto del padre”, ha incalzato la Russinova. “Ha scritto questa frase: quel giorno sono diventata grande. Cosa significa?”. La trentenne afghana, oggi in abiti occidentali, pantaloni e giacca bianca, un foulard di cotone nero adagiato sui capelli, “non è costrizione, è identità”, ha spiegato: “Nella nostra tradizione c’è l’usanza che quando un bambino diventa orfano diventa come maggiorenne, perché dovrà prendere il posto del padre e assumersi responsabilità. Io non mi considero giovane, non sento di aver avuto un’infanzia, da quell’agosto tutto è precipitato. Le donne hanno perso i diritti, hanno assistito a repressioni, arresti, io stessa, per questo dico ‘coi talebani sono diventata grande’. Cioè, responsabile, impegnata. Scrivere, fare incontri, presentare documentari, significa mandare nel mondo le voci delle donne rese mute, impaurite, minacciate. Significa far sentire il loro dolore, la loro forza, le loro grida. Perché alle donne afghane è limitato anche l’ossigeno consentito ai vegetali, sotto il burqa si respira male. E oggi se una donna vuole uscire di casa deve indossare il burqa e deve avere il mahram, ossia un tutore di sesso maschile che le accompagni”.
Volete sapere i principali divieti femminili che si sono susseguiti? Istruzione limitata per le ragazze oltre la sesta elementare; obbligo di osservare il “corretto hijab”, ovvero il chador che copre il corpo dalla testa ai piedi, e non uscire di casa senza motivo; divieto alle donne di utilizzare le palestre; divieto alle donne di entrare nei parchi, nei bagni pubblici, circoli sportivi e parchi di divertimento; sospeso il diritto a frequentare l’università; sospeso il diritto a lavorare con organizzazioni non governative nazionali e internazionali; vietato far sentire in pubblico la propria voce e vietato cantare, recitare e parlare al di fuori delle mura domestiche. Eppure, l’Afghanistan ha fatto Zainab, questa creatura combattiva e dignitosa, e ha fatto le tante pasionarie giovani e più anziane, che dentro e fuori lottano contro la discriminazione di talenti, intelligenza, creatività. Perché questo prezzo così alto, perché l’Afghanistan non trova l’orgoglio per le sue donne, le sue figlie, non le emancipa a cittadine partecipi del progresso che schiera nazioni e popoli? La religione, le tradizioni, la supremazia maschile?
“È un fattore politico”, afferma la testimone. “Politico ed educativo, legato all’istruzione. E all’impegno che la comunità internazionale deve dimostrare, oltre le dismissioni delle forze militari americane e occidentali che hanno lasciato il Paese. Non deve venire meno la pressione internazionale sulle garanzie umanitarie e i diritti. L’Afghanistan è prezioso per le sue risorse, ma questo deve andare di pari passo con la libertà del popolo, perché la libertà è il valore umanitario comune, globale e irrinunciabile. La libertà è ricchezza”.
(*) Fuorché il silenzio. Trentasei voci di donne afghane, Zainab Entezar (curatore), Asaf Soltanzadeh (curatore), Daniela Meneghini (curatore), Editoriale Jouvence 2024, 594 pagine, 28,50 euro
Aggiornato il 27 maggio 2025 alle ore 10:50