
Un artista autodidatta e dunque aperto a continue sperimentazioni. I miasmi della guerra e le utopie avanguardiste hanno plasmato il talento e le tensioni di un “ingegnere della fantasia”, come amava dire Antonio Ghirelli. Marcello Venturoli lo ha definito “l’artista napoletano di maggior rigore e coscienza”. Dopo la mostra del 2022, che ha celebrato il centenario della sua nascita, la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Gnamc) gli rende un ulteriore omaggio presentando, nel ventennale dalla scomparsa, il catalogo Carlo Montarsolo. Alta tensione tra passato e presente, relativo proprio alla retrospettiva organizzata 3 anni fa a Roma. L’evento è previsto giovedì 29 maggio alle 17, alla Galleria Nazionale di Roma, presso la Sala delle Colonne.
Carlo Montarsolo, afferma il curatore della mostra e saggista Giorgio Agnisola, “ha rappresentato una significativa presenza nel quadro delle ricerche artistiche del secondo dopoguerra, tese a conciliare sintesi geometrica e tendenzialmente astratta, a tratti neocubista e persino informale, con espressioni tradizionali. È soprattutto nel segno di una forte, irrisolta tensione tra passato e presente che Montarsolo dispiega negli anni ‘60 il suo registro che lo rende assolutamente riconoscibile, con esiti di suggestiva intensità espressiva”. Insieme alle immagini delle opere esposte nella mostra del 2022, il volume presenta un’approfondita ricognizione della proficua produzione dell’artista e del suo archivio, donato dall’Associazione Montarsolo alla Galleria Nazionale. Oltre al catalogo, sarà presentato il libro-vademecum Un artista racconta l’arte, con letture curate dallo storico dell’arte e divulgatore Mirko Baldassarre di brani scelti dell’artista sul senso dell’arte e sulle ricerche del Novecento.
“Mio padre amava spesso ripetere la frase di Michelangelo incisa proprio sulla fiancata della galleria Nazionale: ‘Questo sol m’arde e questo m’innamora’. ‘Alta tensione tra passato e presente’ è la risposta che nel nome dell’arte, sua e universale, possiamo restituirgli”, spiega Federico Romanelli Montarsolo, presidente dell’Associazione Montarsolo. L’artista, i cui esordi sono caratterizzati da un linguaggio neoimpressionista, con cui ritraeva paesaggi dell’area vesuviana, “ha saputo conciliare, negli anni successivi, una sintesi geometrica e tendenzialmente astratta, che a tratti si fa neocubista e persino informale, con espressioni tradizionali”, osserva Agnisola. La cifra identitaria del suo linguaggio, aggiunge, “emerge in particolare da questo richiamo alla tradizione, leggibile come retaggio di una cultura paesaggistica partenopea e meridionale, che ha alimentato la sua formazione giovanile, caratterizzata da colori morbidi e pastosi e da vibranti risalti della luce”.
Nel segno di una forte e irrisolta tensione tra passato e presente, tra la fine degli anni ‘50 e gli anni ‘70, che è poi l’arco temporale su cui è incentrata la mostra del centenario, Montarsolo testimonia “un peculiare e felice percorso che, nel panorama degli artisti dello stesso periodo, lo rende assolutamente riconoscibile, con esiti di suggestiva intensità espressiva”. A opere come Tempio sommerso (1967), con i suoi multipli tagli della luce che evocano “misteriose e quasi magiche e interne armonie”, se ne contrappongono altre considerate più introverse e materiche, tendenzialmente simboliche, come Sole sul davanzale (1962) e Elementi di una macchina (1979), “caratterizzate da calibrate scansioni di piani e di forme, talora da giochi sottesi e intimistici di luci e di ombre”.
Portare avanti un’eredità artistica “è una sfida e una rinascita continua”, spiega Federico Romanelli Montarsolo. La mostra del centenario, che è stata una ristretta ma significativa selezione delle opere in archivio, alcune delle quali inedite, “è frutto di un’accurata ricerca intrapresa per riscoprire la peculiarità di una vita dedicata ad un’alta tensione artistica che, tra passato e presente, sprigiona tutt’oggi emozione ed equilibrio, energia e autorevolezza”. Come l’artista stesso ha scritto nel suo libro-vademecum Un artista racconta l’arte: “Noi ci tramutiamo e invecchiamo. Capire in tempo il significato e la qualità di un’opera d’arte, e goderne, è forse la possibile terapia per sfuggire alla malattia dell’indifferenza e della tristezza dei nostri giorni. Proviamoci insieme”. Citando Kandinskij, Montarsolo non ha mai nascosto il ruolo dell’arte, non solo come ristoro mentale, alternativa o piacere, ma come una forza che deve servire all’affinamento e alla creatività dell’animo umano e del lavoro fisico dell’uomo. E proprio l’artista napoletano, in suo scritto del 2002, rendeva omaggio “alle infinite possibilità creative, e che quindi appartengono alla sfera dell’arte, del lavoro come mestiere o professione di ognuno di noi. Dall’agricoltore, forse il più lirico ed espressivo personaggio del lavoro di tutti i tempi, al meccanico, dall’insegnante al muratore, dal bracciante fino al lustrascarpe: il lavoro, oltre che fatica a volte dura e perigliosa, può essere immaginazione e creazione, e quindi arte”.
Presente sulla scena artistica dall’inizio degli anni ‘40, Carlo Montarsolo ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1959 e ha ottenuto numerosi riconoscimenti tra gli anni ‘60 e ‘70. È stato invitato, durante la Biennale Internazionale d’Arte del Mediterraneo, a rappresentare l’Italia a Sidney e New York. I suoi dipinti sono tutt’oggi esposti in prestigiose collezioni italiane ed estere. Non soltanto pittore, ma anche appassionato divulgatore, dal 1975 è stato invitato dagli Istituti Italiani di Cultura in America e in Europa a tenere conferenze e seminari sull’arte contemporanea che si accompagnavano a mostre selezionate dei suoi dipinti. Numerose mostre hanno poi contribuito a riscoprire l’artista negli ultimi anni, come Ritorno a Napoli (Castel dell’Ovo, 2018), Note di colore in Armenia (Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Jerevan, 2020). Una meritato riconoscimento che potrebbe sublimarsi con una grande esposizione in Cina, a cui l’associazione sta lavorando da tempo.
Aggiornato il 13 maggio 2025 alle ore 16:44