mercoledì 14 maggio 2025
Nella recente sfida tra Atalanta e Roma, terminata 2-1 per i bergamaschi, il protagonista inaspettato non è stato un calciatore, né l’allenatore. È stato, ancora una volta, il Var. L’episodio incriminato è un rigore prima assegnato alla Roma e poi annullato dopo revisione al monitor. Il contatto tra Mario Pašalić e Manu Koné c’è stato, come confermato da tutti, ma è stato definito “lieve”. L’arbitro Simone Sozza, dopo aver consultato le immagini, ha deciso di tornare sui suoi passi. Ed è qui che si apre un caso. Claudio Ranieri, spesso simbolo di coerenza e saggezza calcistica, ha sollevato perplessità condivise da molti: se il Var può intervenire solo in caso di chiaro ed evidente errore, perché è stato corretto un episodio interpretabile e soggettivo? Perché si è tolta all’arbitro in campo l’autorità di decidere su un contatto che, nella sua valutazione iniziale, era da rigore?
Il Var era stato introdotto per correggere errori clamorosi. Doveva rappresentare un alleato della giustizia, un supporto in casi evidenti e gravi. Nella pratica, però, si è trasformato in uno strumento che spesso entra a gamba tesa anche su episodi borderline, alterando la natura stessa del gioco e del ruolo arbitrale. Tra fuorigioco millimetrici analizzati per minuti interminabili, tocchi di mano involontari puniti in modo sproporzionato, rigori assegnati o tolti per contatti soggettivi, l’intervento del Var ha finito per generare confusione e sfiducia. Le partite non si decidono più solo in campo, ma in una cabina video, dove il giudizio non è più limpido o immediato, ma spesso frutto di interpretazioni variabili. Teoricamente, la decisione finale spetta all’arbitro, ma è davvero così? Sempre più spesso gli arbitri si affidano al Var come se fosse una verità assoluta, temendo di sbagliare o contraddire la tecnologia. In questo modo, il ruolo del direttore di gara viene svilito: da gestore, diventa un semplice esecutore. Un arbitro dovrebbe avere l’ultima parola, soprattutto nei casi in cui il regolamento lascia spazio all’interpretazione. Il Var dovrebbe intervenire solo quando l’errore è talmente evidente da non ammettere repliche.
Invece oggi assistiamo a revisioni su contatti minimi, su gesti tecnici ambigui, su situazioni che un tempo avremmo accettato come parte integrante del gioco. Il Var, pur con le migliori intenzioni, sta togliendo umanità al calcio. Un gioco fatto di emozioni, di errori, di interpretazioni e soprattutto di contrasti. In nome di una giustizia che resta imperfetta, si rischia di compromettere l’equilibrio emotivo delle partite, l’immediatezza delle decisioni, e persino la fiducia dei tifosi. Se ogni azione da gol deve essere congelata per attendere una verifica, se ogni contatto può diventare un caso, allora il calcio perde la sua anima. La polemica di Atalanta-Roma è solo l’ultima di una lunga serie. Serve un ripensamento profondo sull’utilizzo del Var. O si torna a un’applicazione rigorosa e limitata, o si rischia di affidare la direzione delle partite non più a chi corre in campo, ma a chi scruta i monitor. E il calcio, quello vero, non merita di finire in replay.
di Michele Bandini