martedì 16 dicembre 2025
Ha fatto specie la recente notizia del carcere di Civitavecchia, in cui la compagnia di un detenuto ha osato praticare un rapporto orale al compagno detenuto, e, successivamente denunciata, è ora indagata.
Ciò fa subito venire in mente il tema dell’intimità e della sessualità in carcere, ma anche di rimando quelle che sono le condizioni carcerarie (penose e da terzo mondo) in Italia, infine, e ciò è meno immediato, questo evento e tanti simili ci ricordano quanto sia necessaria la riforma della separazione delle carriere.
Indipendentemente da cosa si pensi sul tema dell’intimità, bisogna tenere a mente taluni fatti e un dato normativo.
I fatti sono le condizioni del carcere, che oltre ad essere fatiscenti dal punto di vista igienico-sanitario, costringono persone per anni a non sfogare la propria intimità e sessualità. Va da sé che in un contesto di soli maschi, ma anche tra donne, questo comporti tensioni, e spesso veri e propri abusi, se non anche violenze, specialmente verso omosessuali, anche con situazioni in cui, volenti o nolenti, questi soggetti si concedono. Insomma, la storiella della saponetta non è falsa, anzi nasconde una realtà ben peggiore.
L’altro fatto da tenere a mente è il dato normativo. Con la sentenza 10/2024 la Corte costituzionale sancisce il diritto all'intimità anche in carcere, chiedendo alle strutture di adibire locali appositi, non tanto per tenere un rapporto sessuale, saranno affari del detenuto e il visitatore, ma per garantire uno spazio di solitudine tra detenuto e visitatore. La legge attualmente impone che i detenuti, anche durante le visite, siano sempre a vista. Oltretutto esorta il legislatore a mettere mano al tema. Ciò è escluso in caso di 41-bis ovviamente.
Non si scappa su questo punto, che non è più questione di opinioni. Cosa c’entra con la separazione delle carriere? C’entra tutto.
Dobbiamo ricordare che circa 1/4, più o meno, dei detenuti, a cui sadicamente la folla augura peste e corna, sono detenuti senza condanna (di cui il 15 per cento in attesa di primo giudizio), vale a dire, ai sensi della legge (e dei fatti), innocenti. L’Istituto della carcerazione preventiva, da forma di cautela verso fuga, reiterazione del reato o inquinamento di prove, spesso diviene anticipazione della pena.
Innocenti, senza condanna in carcere, con condizioni igienico-sanitarie penose (muffa, niente acqua calda, stipati - la butto lì - in 10 in una cella per 4, gente che dorme anche per terra, cimici etc.), e anche privati della propria intimità di qualsiasi tipo, necessaria per la propria salute mentale. Ricordiamo per altro i 91 suicidi in carcere solo nel 2024.
Dati recenti mostrano che il 94 per cento delle richieste dei Pm vengono accettate dal Gip, che è magistrato, non giudicante, solo per le intercettazioni ) ed il 73 per cento circa per carcerazione preventiva, una parte risibile poi passa il vaglio della fase dibattimentale.
Questa attività del Gip non è burocratica, non si limita a vedere se ci sono i requisiti meccanicamente, ma richiede discrezionalità, quindi adeguata ponderazione per il caso specifico.
Dovrebbe svolgere un ruolo di filtro, che dati alla mano, non funziona troppo bene. Sembra una sorta di appiattimento del Gip sulle procure, tra colleghi che fanno carriera assieme, che condividono (lavorativamente) tutto insieme, ed il resto si intende facilmente. In una parola: affiatatezza.
Basti vedere, come detto, quanti casi poi superano il vaglio del dibattimento dopo il Gip, o la quantità di soggetti per cui a posteriori si scopre che il carcere non era necessario, quindi anche i lauti risarcimenti che pagano i contribuenti (50milioni di euro circa per 2024/2025).
Ebbene, tramite la separazione delle carriere, si mira ad evitare, tra le altre cose, questa affiatatezza, la quale contribuisce potenzialmente, dati alla mano, alle storture del sistema, per un giudice veramente terzo ed imparziale, in cui accusa e difesa siano in condizioni di parità, così come sancito dall’art.111 della Costituzione.
Infine, si spera che questa poveretta a Civitavecchia abbia clemenza.
di Rodolfo Filesi