Scontro sullo sciopero tra editori e giornalisti

martedì 18 novembre 2025


Nove anni fa. Un tempo infinito nella nuova realtà tecnologica in continua trasformazione. Il contratto nazionale di lavoro dei giornalisti si è arenato nel 2016, quando il settore dell’editoria era in piena evoluzione dovuta all’utilizzo dei sistemi digitali e all’ingresso anche nel mondo dei media dell’Intelligenza artificiale. C’è ormai un altro mondo. I grandi gruppi tech stanno imponendo le loro scelte. L’americana Apple sta intensificando gli sforzi per pianificare, a partire dal 2026, la successione del pioniere Tim Cook con John Ternus. A 95 anni non smette di sorprendere il magnate Warren Buffett che ha acquisito per 4,9 miliardi di dollari milioni di azioni Alphabet, la casa madre di Google. In Europa, il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi, dopo la scalata alla bavarese ProSiebenSat.1 Media ha indirizzato il suo obiettivo verso le televisioni del Portogallo. La crisi italiana dell’editoria appare nella sua consistenza nella vicenda dello scontro tra John Elkann, il nipote di Gianni Agnelli, deciso a vendere l’ex impero di carta della Fiat e il greco Theodore Kyriakou, socio dei sauditi.

La richiesta per il pacchetto che comprende la Repubblica e gli allegati, le radio, la concessionaria di pubblicità Manzoni esclusa La Stampa, è di circa 140 milioni, mentre l’armatore navale non sarebbe disposto a sborsare più di 110 milioni di euro. In questo quadro di giornali comprati e venduti, si inserisce lo sciopero proclamato dalla Federazione nazionale della stampa per sabato 28 novembre, con un’anteprima di manifestazione in Piazza Montecitorio a Roma. Secondo la Fnsi, “la riduzione degli organici delle redazioni e delle retribuzioni attraverso licenziamenti, ripetuti stati di crisi, con le casse integrazioni e migliaia di prepensionamenti, hanno inaridito l’offerta di notizie con ricadute negative sul pluralismo e sul diritto dei cittadini ad essere informati”. In nove anni dalla scadenza dell’ultimo contratto le parti si sono incontrate varie volte per cercare di scrivere un documento adeguato alle nuove esigenze dell’editoria individuando nuove figure professionali legate al web, al giornalismo digitale e a regolamentare l’ingresso dell’Intelligenza artificiale in redazione. Le distanze tra Fnsi e Fieg sono rimaste sempre molto distanti. È stato anche tentato di negoziare un accordo solo economico. I contrasti della trattative sono rimasti.

La proposta di aumento mensile del minimo tabellare per recuperare la crescita del quasi 20 per cento dei prezzi al consumo verificatosi tra il 2017 e il 2024 è sembrato eccessivo all’associazione degli editori. Anche altri aspetti, dalla figura del direttore allo smart working non hanno trovato accoglienza da parte della Fieg, guidata dal proprietario del gruppo Poligrafici Andrea Riffeser Monti. La replica alla giornata di sciopero è stata precisata in un comunicato che sottolinea, in via prioritaria, che “nell’ultimo decennio gli editori, nonostante il dimezzamento dei ricavi che in tutto il mondo ha colpito la carta stampata, hanno significativamente investito nelle aziende per garantire un’informazione di qualità e per salvaguardare l’occupazione”. Posizione distanti anche perché la Fieg ritiene che “il contratto sia fermo a modelli organizzativi superati dall’evoluzione tecnologica. La rigidità economica e normativa nonché l’onerosità e la presenza di situazioni paradossali impongono modifiche significative”. Il braccio di ferro continua. La cosa assurda è che un contratto privato non venga rinnovato dopo 9 anni dalla scadenza. Come fece l’allora ministro Franco Marini (ex segretario generale della Cisl), sarà necessario che intervenga, con tutta la sua autorevolezza, il ministro del Lavoro.


di Sergio Menicucci