La necessità dell’interprete nei penitenziari

lunedì 22 settembre 2025


La presenza crescente di detenuti stranieri negli istituti penitenziari italiani pone con urgenza il problema della mediazione linguistica. La Costituzione, all’articolo 24, garantisce a tutti il diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, mentre l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sancisce il diritto dell’imputato a essere informato nella lingua che comprende e ad avvalersi gratuitamente di un interprete. Tuttavia, la fase esecutiva della pena – quella vissuta dietro le mura carcerarie – rimane spesso in una “zona grigia” di tutele effettive, dove la traduzione e l’interpretariato non sono garantiti con la stessa incisività che nelle aule di giustizia.

L’assenza o l’inadeguatezza del servizio di interpretariato genera conseguenze giuridiche e umane rilevanti. Un detenuto che non comprende la lingua italiana rischia di non poter conoscere i propri diritti, di non partecipare ai procedimenti disciplinari interni, di non comunicare efficacemente con il personale sanitario o educativo, e persino di non poter avanzare richieste di misure alternative alla detenzione. In questo modo, il principio di uguaglianza sostanziale (articolo 3 della Costituzione) viene gravemente compromesso.
Le direttive europee in materia di garanzie procedurali, recepite dall’Italia, sottolineano l’importanza della traduzione e dell’interpretariato anche nella fase post-processuale. Tuttavia, la loro applicazione pratica nelle carceri resta frammentaria. Alcuni istituti si avvalgono sporadicamente di mediatori culturali o interpreti esterni, spesso senza formazione specifica sul contesto penitenziario. Altri sopperiscono con traduzioni informali, affidandosi a compagni di cella o a volontari, pratica che mina la riservatezza e la precisione delle comunicazioni.

Dal punto di vista giuridico, la mancanza di interpreti nei penitenziari può configurare una violazione del diritto a un equo processo in senso esteso, inteso non solo come giudizio ma come intero percorso di esecuzione penale. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte ribadito che il detenuto deve essere messo in condizione di comprendere e partecipare consapevolmente a ogni fase che incida sui suoi diritti fondamentali.
È dunque necessario un intervento normativo e organizzativo che riconosca l’interpretariato non come servizio accessorio, ma come presidio di giustizia. La presenza strutturata e qualificata di interpreti e mediatori culturali nei penitenziari non risponde solo a esigenze di comunicazione, ma rappresenta uno strumento di garanzia dei diritti umani, di prevenzione dei conflitti e di umanizzazione della pena. In un sistema penale che aspira alla rieducazione del condannato, la lingua non può diventare una barriera insormontabile.


di Camilla Malatino