L’altra faccia del bullismo che ha ucciso Paolo Mendico

giovedì 18 settembre 2025


C’è bisogno di coraggio, coraggio nudo e crudo. Soprattutto in quell’ambito inflazionato che è la cronaca nera per collocare i fatti nel giusto alveo senza perdere la dimensione intrinseca e tragica degli eventi. Questo è un tempo ad alta tecnologia, tuttavia si muore per poco. Ci sono due spaventose guerre, che mietono vittime crudelmente. Ci sono condizioni precarie in tanta parte di mondo, eppure nelle società sviluppate come la nostra si muore per gioco, per inganno, per pura acredine, per sciocchezze. Penso al ragazzino che quest’estate si è scavato una buca sulla sabbia davanti agli amichetti, si è infilato dentro, pensava di vivere un’esperienza immersiva di cui tanto avrà sentito parlare e la sabbia gli è franata addosso, sommergendolo e soffocandolo. Ci sono i tanti bambini dimenticati sui seggiolini da genitori che corrono troppo. Ci sono i futili motivi per cui si arriva al coltello, al sangue, al delitto. C’è l’inarrestabile fiume di femminicidi, i torti acidi e le ragioni proterve. C’è il campione di sci che muore per troppa velocità, ci sono le morti da sballo e del sabato sera, ci sono i casi assurdi di malasanità. Insomma, la morte in Italia pare spesso riduttiva e senza senso, mentre il pianeta è scosso da questioni gravi.

Per ultime ci sono le foto e le parole strazianti dei genitori di Paolo Mendico, il 14enne di Latina che si è tolto la vita il giorno precedente il ritorno a scuola. Il racconto ha dell’incredibile. “Paoletta”, come lo chiamavano per la zazzera bionda e l’aria delicata, pare che l’ultima sera fosse normale, aveva parlato coi genitori, aveva fatto il pane, aveva preparato lo zaino e aveva detto “uffa, devo tornare a scuola”. Unico indizio. In genere alla fine dell’estate si freme per tornare tra i compagni, ma qui la scuola più che luogo di aggregazione e scambio sembra essere diventata il tormento psicologico in cui anime diverse invece di connettersi si urtano. Ne è nato un diverbio tra la famiglia di Paolo, il padre e la madre accusano il corpo docente di insensibilità e di trascuratezza, e alcuni dirigenti che respingono le critiche e smentiscono che il ragazzino fosse vittima di bullismo. Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha promosso alcune ispezioni per capire meglio i fatti e prendere eventuali misure. Scusate se sono ruvida e poco omologata. Vogliamo svegliarci e ritrovare un po’ di raziocinio invece di naufragare dentro queste ideologie che, pur apparendo l’una contro l’altra, da una parte il woke e all’opposto il conservatorismo, diventano il calvario di una sconclusionatezza scarsa di logica? Nessuno nega piaghe come la violenza giovanile, il bullismo, la sfrontatezza dei maranza, i rigurgiti delle fobie, però chiudere tutto dentro questi altrettanto slogan non rischia di essere fallace?

Rovesciamo la clessidra e leggiamo i fatti anche da altre prospettive. È forse in atto un reale braccio di ferro tra conservatorismo e progressismo? Io credo di no, perché questa destra al governo non è quella che vorrebbe far credere l’opposizione, che usa l’antifascismo come antidoto superato, perché nasce oltre che da menti liberali, (cito il nostro indimenticabile Arturo Diaconale), da militanti del controcorrente alla Indro Montanelli, piazzati in tanta parte della comunicazione. La sinistra arranca nei suoi schemi, benché finga “la rivoluzione delle rivoluzioni”. Ma come stanno le cose: i giovani rivendicano altre libertà e poi si suicidano per i colori dei pantaloni? Le donne emancipate ironizzano sul ruolo di moglie, madre e donna biologica, però non riescono a controllare neppure sciagurati? C’è un’altra via possibile?

Mi pare che l’era Giorgia Meloni indichi molto di più di una leader di destra che scala e vince, segnala il riscatto di quel femminile nato nei movimenti degli anni Settanta che ha saputo prendere una evoluzione propria di emancipazione morale e politica, non solo sessuale e biologica. E non solo l’ingannevole buonismo consumistico dilagante, ma una coniugazione di valori, ideali e responsabilità per quelli che si sono messi in cammino, come ha esortato la premier da Rimini. Se ai nostri figli non insegniamo anche a essere duri, se non insegniamo che la libertà è una guerra, se non li educhiamo ad andare controcorrente, a non omologarsi ma al contempo a essere come diamanti, inespugnabili, refrattari, inaffondabili, la crescita e i cambiamenti non hanno luogo. Jean-Paul Sartre lo definiva “il duro desiderio di durare”, concetto smarrito nelle frivolezze contemporanee. È tutto un piagnisteo di poverini e poverine che per una frangetta o un modo di dire franano nella depressione o, peggio, mentre ci sono milioni di bambini, ragazzini e ragazzine sotto i proiettili per un po’ di pane e di acqua o sono costretti a imbracciare le armi. Per non parlare dei sacrifici della generazione ancora in vita, che comprensibilmente inorridisce.

Stiamo allargando le maglie delle relazioni inclusive a tutto tondo, ma questa generazione se ha un problema è che non sa amare. Via Gesù, via Jacques Prévert, che cosa resta ai ragazzi e ragazzi che si baciano? Cercano, cambiano, violano, usano un gergo spesso pesante e adottano anche atteggiamenti plateali. Lo sanno che è l’amore che innamora? Non lui, non lei soltanto, non i generi e le etichette, ma una connessione alta e trascendente con le energie lassù. Altro che cancellare! Bisogna far circolare William Shakespeare, bisogna immergersi nei latini, nei greci, nell’epica, nella Commedia, in quella letteratura, arte, cultura che all’Europa aveva dato il primato. Nella musica soprattutto, l’universo suona quando gli astrofisici lo ascoltano. Se neghiamo tutto ciò e mettiamo le quote, tanto di questo e tanto di quello, uccidiamo la natura e i sentimenti.

Il bullismo ha due volti. Quelli che lo praticano, certo. E bisogna capire perché giovani, che hanno tutto e di più in un tempo che nega il machismo, hanno bisogno di fare gli sprezzanti e giocare con la cattiveria. Ma il bullismo ha anche il volto fragile, permeabile, frazionato e rotto di chi    lo subisce. Eliminare tutti i violenti e tutti i bulli è un’utopia enorme. Imparare a camminare ciascuno nel proprio odierno è quello che si deve fare. Se vuoi la zazzera e i pantaloni rosa devi saperli gestire. Tutto è abilità. Oriana Fallaci ci ha lasciato in questo senso la più grande lezione. Diceva: “Non mi avvince il moralismo. Conosco solo abili e non abili”. Per rompere gli schemi non serve soltanto essere femminili o maschili al contrario. Le esasperazioni woke trovano come risposta il mondo al contrario e la politica cerca il consenso.

Non occorre arrivare a Charlie Kirk, l’influencer di Maga ucciso in Utah dal ventiduenne Tyler Robinson da duecento metri con un proiettile alla giugulare firmato Bella ciao. La risposta sono le piazze gremite di patrioti contro l’odio mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non esclude la “pena di morte”. Ci voleva molto a capire come sarebbe finita dopo la stagione degli anni di piombo, che sul piano delle verità e dell’analisi non ha diviso il grano dalla zizzania? Sono anni che lo scrivo, ma ho capito che nella vita bisogna avere torto per avere ragione. Oggi non vedo differenze, né di genere, né di provenienza, né di mentalità. Neppure solo di religione, che non basta più a cogliere tutto l’arco dell’espressione. Vedo capacità, sensibilità, abilità non solo per il talento di fare e di diventare, ma per il talento di vivere contro la cultura della morte, sul quale misurare le conquiste, i diritti e l’uguaglianza.


di Donatella Papi