L’inganno della violenza

mercoledì 17 settembre 2025


Ieri, all’università di Pisa, un gruppo di circa 20 energumeni, riuniti sotto la sigla Studenti per la Palestina, ha interrotto la prima lezione del nuovo anno accademico di un docente associato di Diritto pubblico comparato. L’irruzione in aula, sfociata in rissa e conclusasi con la prognosi riservata di sette giorni per il docente, è stata accompagnata dall’immancabile urlo accusatorio: “Sionista”. Prova ne sono i video e le foto pubblicate dallo stesso collettivo, fiero delle proprie azioni, che documentano l’irruzione e attaccano direttamente il docente.

Rino Casella, il docente in questione, ricostruisce i fatti: “Mi accusano di essere sionista solo perché ho sempre detto che non sono un proPal”. E sottolinea: “Nessuno degli oltre 200 studenti che stavano assistendo alla mia lezione ha solidarizzato con queste persone e quando uno studente ha tentato di strappare loro di mano la bandiera palestinese sono partite le botte, mi sono messo a fargli da scudo ma sia il ragazzo che io abbiamo subito calci e pugni”.

Dopo l’aggressione, si è recato al pronto soccorso dove gli sono state diagnosticate contusioni e poi ha sporto denuncia presso la questura.

Intervistato dall’AdnKronos, lo stesso Casella ha dichiarato: “È stata un’aggressione che non ho nessun problema a definire fascista, perché è una squadraccia fascista che mi ha interrotto. Hanno strappato il libro, mi hanno tolto il microfono, mi hanno spintonato via dalla cattedra”.

Nonostante il tentativo di mantenere la calma, non c’è stato verso di far ragionare i proPal, sordi a qualsiasi tentativo di dialogo, ma sempre pronti a calpestare il diritto di tutti quelli che considerano diversi da loro: infatti si sono avvalsi della violenza per interrompere una lezione universitaria.

Usando come ulteriore scusa delle proprie azioni anche la presenza di un’immagine di una bandiera americana stampata su un quaderno. Su questo, Casella ha affermato: “Io insegno diritto pubblico comparato. Quella bandiera americana era sul mio quaderno perché spiego anche l’ordinamento statunitense. Non è propaganda. È parte del programma”.

All’università, infatti, si dovrebbe studiare tutto. Non solo quello che piace e sul quale si concorda. Anche perché ognuno è libero di avere la propria opinione. O questo principio vale solo per alcuni?

Ed il dissenso si esprime a parole durante un confronto, non attraverso la violenza. O questo vale solamente guardando da una parte, ma non dall’altra?

Difficile non dare ragione a Casella quando dichiara: “L’università non si può interrompere. Una lezione non si può interrompere. È stato un attacco all’istituzione, non a me. Io rappresento l’università, non Rino Casella”. Ed aggiunge: “Stanno saltando anche gli ultimi luoghi in cui la violenza era assolutamente bandita. Dopo gli ospedali, le scuole… anche l’università è diventata terreno di scontro. Non ci sono più zone franche”.

E come dargli torto quando ribadisce che le sue posizioni personali non giustificano né spiegano quanto accaduto? “Non ho votato le mozioni del mio dipartimento su Israele e Gaza. Non condivido la posizione del rettore su questi temi. Ma questo non conta: oggi sono stato aggredito perché stavo facendo lezione, non per le mie idee. Se in un altro ateneo un docente dovesse trovarsi nella mia stessa situazione e reagisse, rischierebbe più di un pugno. Serve una risposta netta. Le aule universitarie devono restare luoghi sicuri, per i docenti e soprattutto per gli studenti”.

Immediata la reazione del rettore Riccardo Zucchi che, pur rivendicando “la bontà delle scelte fatte nei mesi scorsi dall’Ateneo che ha deciso di dire no a qualunque ricerca scientifica che possa avere scopi militari e manifestato solidarietà al popolo palestinese vittima di qualcosa che somiglia molto a una pulizia etnica”, ha comunque espresso solidarietà al docente ribadendo: “Detto questo, ogni forma di violenza è inaccettabile ed è violenza anche interrompere una lezione, tanto di più quando si sfocia nelle aggressioni fisiche”. In fondo, non è un concetto così difficile.

Eppure, pare che lo sia. Infatti Noemi Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, ha constatato: “Quel che è successo all’Università di Pisa è proprio l’escalation che da tempo temevamo, deriva della violenza già lungamente tollerata, un appiattimento sulla narrativa propagandistica di Hamas. Così si continua a legittimare il terrorismo”.

Alcuni giovani ebrei parlano di un “attacco alla libertà accademica e alla sicurezza della comunità universitaria”, eppure non è da ieri che ci si gira dall’altra parte facendo finta di non vedere ciò che è intollerabile, tanto più perché la storia avrebbe dovuto insegnare qualcosa.

Sono i fatti a parlare e quando si adotta la violenza invece che il dialogo non si può che passare dalla parte del torto. Sempre.


di Claudia Diaconale