Tra legge naturale e legge scritta

lunedì 4 agosto 2025


Nel IV/III secolo avanti Cristo il saggio cinese Tchouang-tseu avvertiva che “La legge è al di sopra del Principe”, per cui non poteva essere da lui arbitrariamente modificata. Il concetto in parola andava riferito al paradigma della legge naturale, eterna, immutabile nello spazio e nel tempo, matrice dei diritti umani. Il dies a quo di tali diritti non è pertanto riferibile all’Illuminismo, che aveva dietro di sé la tradizione ebraico-cristiana, l’eredità greco-romana, le aspirazioni del nuovo mondo. I diritti umani nascono con l’uomo stesso, essendo connaturati alla sua coscienza razionale, innati e universali, impressi nella mente e nel cuore di tutti gli uomini in ogni tempo e in tutte religioni. Tali diritti possono paragonarsi a degli spontanei fiori di campo, da non confondersi con quelli “di serra”, cioè con i diritti nati per via giudiziaria (nei Paesi di Common law); oppure sorti per via legislativa (nei Paesi di Civil law).

In seguito alla scoperta del nuovo mondo, ebbe luogo la cosiddetta “civilizzazione”degli autoctoni sia attraverso il Cristianesimo che tramite il Jus commune (diritto romano giustinianeo e diritto canonico), ma anche attraverso la forza coercitiva delle armi dei conquistadores. Poiché tale diritto sinergico si ispirava sovente ai principi del “diritto naturale”, quest’ultimo fu preso come riferimento anche dal diritto dei colonizzatori ispanici, il che portò al progressivo “riconoscimento (nel XVI secolo) dei diritti personali fondamentali degli indios, riconosciuti figli di un unico Dio, e quindi portatori dell’intrinseca dignità correlata a tale status. Anche la proprietà delle terre in cui da secoli vivevano, fu infine riconosciuta a pieno titolo come a loro spettante, seppure tra aspri contrasti teologici e politici presso la Corte di Madrid. Attingendo al principio di norme condivise, nel 1795 Immanuel Kant pubblicò il libro Per la pace perpetua tra gli Stati, come effetto di un meccanismo naturale di composizione tra interessi antinomici, concludendo che “la Natura vuole irresistibilmente che il diritto alla fine diventi il potere supremo. In Italia Gaetano Filangieri, nella sua poderosa Scienza della Legislazione (1780), scrisse di un dirittorazionale, esercitato da un potere contrattualmente legittimato, il che non avrebbe potuto peraltro impedire delle derive dispotiche (dictatura quoad exercitium).

Tuttavia, la corretta gestione del richiamato potere, vincolava i titolari della res publica a rispettare i diritti naturali e a promuoverne la realizzazione, onde creare una legge per tutti uguale e condurre una politica ex parte civium e non più ex parte Principis. Partendo da tali premesse, scaturirono delle iniziative concrete in favore di tutti i cittadini: libertà di stampa, istruzione accessibile a tutti, fiscalità progressiva e redistributiva del reddito, promozione di una coscienza civile e patriottica, leggi penali fondate sul processo accusatorio (basato sull’oralità e il contraddittorio), abolizione di ogni residuo privilegio feudale, promozione di una cultura garantistica contro gli arbitri del potere: in ultima analisi, un sistema giuridico mirante all’emancipazione delle masse popolari, alla loro felicità e all’abolizione di ogni residuo privilegio di ceto. Nell’età contemporanea, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale (1945) fu redatta la Carta Onu, le cui finalità più generali possono così riassumersi:

1) Mantenimento della pace e della sicurezza internazionale;

2) Sviluppo di relazioni amichevoli tra le Nazioni, fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-determinazione dei popoli;

3) Cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi di carattere economico, sociale culturale o umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà.

Oltre mezzo secolo dopo venne sottoscritta in ambito europeo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata una prima volta il 7 dicembre 2000 a Nizza, e successivamente riformata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. L’Unione aveva visto la luce come aggregazione di più Stati del Vecchio continente, funzionale alla tutela dei diritti ad essa preesistenti, con ciò delineandosi nettamente un’Europa protesa alla tutela del comune patrimonio valoriale etico-giuridico, ben oltre la riduttiva caratterizzazione di una realtà territoriale plurinazionale, coesa da una mera unità monetaria. Oggi l’elenco analitico dei nuovi diritti naturali (rispetto della biosfera, divieto di manipolazione genetica, consenso informato in campo medico, diritto di ingerenza umanitaria, autodeterminazione dei popoli, eccetera), costituisce in realtà la specificazione analitica dei sempiterni diritti naturali (alla vita, alla libertà, alla proprietà).

Non ha dunque alcun senso logico parlare di “nuovi diritti naturali”, poiché ogni cambiamento sociale è in genere accompagnato da nuove norme che possono creare dei nuovi diritti, come quelli alla salubrità, al rispetto dell’ambiente, alla dignità della persona, all’istruzione generalizzata, al lavoro, al rispetto della biosfera, al divieto di manipolazione genetica, al consenso informato in medicina, all’ingerenza umanitaria, all’autodeterminazione dei popoli. Ma si tratta in realtà o di nuovi diritti positivi legati a delle nuove sensibilità (come quella ambientale), o della specificazione – lo ribadiamo – di preesistenti  diritti naturali. Che – va ripetuto – sono intrinsecamente innati e inviolabili. Non sono una mera e astratta invenzione dei filosofi, poiché nel concreto hanno costituito la pre-condizione giuridica in base alla quale poté – ad esempio – svolgersi il Processo di Norimberga contro i crimini commessi dai nazisti ai danni dell’umanità.

Un eccesso di codificazione, un’ipertrofia analitica, può soffocare un sistema economico sino al suo collasso, con la conseguente uscita dal mercato di imprese strangolate da una ragnatela normativa ai vari livelli (leggi, regolamenti, atti amministrativi, circolari esplicative, eccetera). L’innalzamento della scolarizzazione – viceversa – ha sortito degli effetti benefici nel “sistema Paese”, determinando un accrescimento della democrazia, grazie alla consapevolezza partecipe dei cittadini, ma anche del benessere economico derivante dal lavoro di maestranze acculturate e, pertanto, in grado di eseguire dei lavori e di realizzare dei prodotti che richiedono un’alta specializzazione e professionalità, ben oltre la soglia minima di lavori meramente meccanici e ripetitivi.

Tagliare dei fondi alla scuola, significa tagliare le radici della stessa democrazia, della crescita culturale ed economica. Un vero risparmio potrebbe, viceversa, realizzarsi con una riforma del pubblico impiego, dove il ventaglio delle guarentigie contemplate (congedi per studio, per malattia di un prossimo congiunto, ed oggi per la “maternità intenzionale” ideata dalla Corte costituzionale), ha finito paradossalmente per bloccare le assunzioni a tempo pieno, rivelatesi troppo onerose o scarsamente produttive, con la conseguenza di una vasta platea di disoccupati o – nella migliore delle ipotesi – di precari.


di Tito Lucrezio Rizzo