mercoledì 30 luglio 2025
Un promontorio di abbagliante bellezza, il Gargano, dove il blu intenso del mare Adriatico incontra il verde antico della foresta umbra. Un paradiso turistico, terra di fede e tradizioni secolari. Ma sotto questa patina idilliaca, per decenni ha prosperato una delle mafie più feroci e arcaiche d’Italia, a lungo sottovalutata e per questo ancora più pericolosa: la mafia garganica, la “Quarta Mafia”. Una realtà criminale che ha trasformato antiche faide pastorali in una guerra spietata per il controllo del territorio, lasciando dietro di sé una scia di sangue che solo di recente ha scosso la coscienza nazionale.
Le origini: dai pascoli alle faide sanguinarie
Le radici della mafia garganica affondano in un mondo rurale e isolato, governato da codici non scritti legati alla pastorizia e all’onore. Dispute per furti di bestiame, l’abigeato, e per il controllo dei pascoli si sono trasformate, a partire dalla fine degli anni ‘70, in vere e proprie faide familiari. Clan come i Li Bergolis, noti come i “montanari”, e i Romito hanno iniziato una guerra decennale che ha insanguinato le cronache locali. Questa violenza endemica si è poi evoluta, saldandosi con il mondo del crimine organizzato e puntando al controllo di attività illecite ben più redditizie: estorsioni, traffico di droga e di armi, riciclaggio di denaro e infiltrazione nel tessuto economico.
I boss, le tradizioni di morte e gli omicidi eccellenti
La mafia garganica si è distinta per una brutalità primitiva e una logica spietata. I boss, spesso giovani e mossi da una sete di potere assoluto, hanno imposto il loro dominio con la violenza. Non si tratta solo di omicidi, ma di esecuzioni plateali, spesso compiute con armi da guerra come i kalashnikov, e con un’inquietante “tradizione”: la distruzione dei volti delle vittime per negare alle famiglie persino un funerale a bara aperta, un supremo atto di disprezzo e un messaggio di terrore per chiunque osasse sfidarli.
La faida ha prodotto una lunga scia di “omicidi eccellenti” che hanno segnato la storia criminale del Gargano. La strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017 è stata un punto di svolta. In quell’occasione, l’obiettivo era il boss Mario Luciano Romito, ma nel brutale agguato persero la vita anche il cognato e, tragicamente, due agricoltori innocenti, i fratelli Luciani, testimoni involontari di un’esecuzione mafiosa che ha proiettato la ferocia della mafia garganica sulla ribalta nazionale. Questo e altri episodi hanno rivelato una realtà a lungo ignorata, costringendo lo Stato a prendere atto di un'emergenza non più differibile.
Questione di rilevanza nazionale: lo Stato schiera i Carabinieri “Cacciatori di Puglia”
Per anni, la criminalità garganica è stata considerata una “mafia di serie B”. L’allarme lanciato dall’allora Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, dopo la strage di San Marco in Lamis, ha segnato un cambio di passo. Lo Stato ha finalmente riconosciuto la pericolosità di questa organizzazione, definendola una vera e propria “emergenza nazionale”.
La risposta più significativa è stata l’istituzione, nel settembre 2018, dello Squadrone Eliportato Carabinieri “Cacciatori di Puglia”. Un reparto speciale, addestrato per operare nelle aree impervie e difficili da controllare del promontorio garganico, con il compito specifico di dare la caccia ai latitanti e di smantellare le roccaforti della mafia. L’azione dei “Cacciatori” e un’intensificata attività investigativa hanno portato a numerosi arresti, infliggendo duri colpi ai clan.
Le considerazioni del Procuratore nazionale antimafia
L’attuale Procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, ha più volte sottolineato la pericolosità e la pervasività delle mafie foggiane, evidenziando come queste organizzazioni criminali non siano più un fenomeno locale, ma una minaccia su scala globale. Le mafie garganiche hanno dimostrato la capacità di stringere alleanze con altre potenti organizzazioni criminali, come la ‘Ndrangheta calabrese, e di inserirsi in traffici internazionali
Secondo Melillo, la sfida richiede un contrasto a 360 gradi, che non si limiti alla repressione ma che affronti le radici sociali ed economiche del fenomeno. Il fatto che il carcere sia spesso un luogo di normale operatività per queste organizzazioni criminali, come sottolineato dallo stesso Melillo, evidenzia la complessità della lotta.
Come i pugliesi vivono questa realtà e la reazione della società civile
Vivere nel Gargano significa convivere con una realtà opprimente. La mafia controlla il territorio, si infiltra nell’economia legale, soprattutto nel settore turistico ed edilizio, e genera un clima di paura e omertà. Questo soffoca lo sviluppo e costringe molti giovani ad andarsene.
Tuttavia, qualcosa sta cambiando. Il muro di silenzio comincia a sgretolarsi. Un numero crescente di pentiti, anche di alto rango come il boss Marco Raduano, ha deciso di collaborare con la giustizia, offrendo agli inquirenti una visione senza precedenti delle dinamiche interne ai clan. Parallelamente, la società civile si sta organizzando. A Vieste è nata una delle prime associazioni antiracket della provincia, e sempre più cittadini e amministratori locali si oppongono apertamente al potere mafioso, promuovendo una cultura della legalità.
Il futuro sociale e le prospettive oltre la mafia
La lotta alla mafia garganica non si vince solo con le operazioni di polizia. È fondamentale un impegno corale che punti alla riappropriazione del territorio da parte dello Stato e dei cittadini. In questo senso, si stanno moltiplicando le iniziative sociali e culturali, come festival e incontri, che mirano a creare un “antidoto” culturale alla mentalità mafiosa. Progetti di sviluppo locale, come quelli promossi dal Gal Gargano e dalla Strategia Nazionale per le Aree Interne, puntano a valorizzare le immense risorse del territorio – dall’agricoltura sostenibile al turismo esperienziale – per creare opportunità di lavoro e un’economia sana e libera dal condizionamento criminale.
Il futuro del Gargano è a un bivio. La strada per liberarsi definitivamente dal giogo della mafia è ancora lunga e complessa, ma la crescente consapevolezza, la reazione dello Stato e il coraggio di tanti cittadini onesti rappresentano una speranza concreta. Una speranza che il Gargano possa finalmente essere conosciuto non per il sangue e il silenzio, ma solo per la sua straordinaria bellezza e per la forza della sua gente.
di Alessandro Cucciolla