Il tempo e l’uomo

venerdì 18 luglio 2025


Il tempo esistenziale non dipende da noi, anche se lo estinguessimo volontariamente cesseremmo l’esistenza perché mortali. Il tempo esistenziale è il tempo del vivere naturale, in quanto nasciamo. Il tempo non è la vita, è una misurazione ma non la vita. La vita, per l’uomo, è il sentire cosciente, niente a che spartire con il tempo. Il tempo esistenziale e avvintissimo alla morte. Due serpenti. Ha come conclusione la morte. La puoi anticipare volontariamente ma non è la tua decisione a cambiare il fatto che siamo nati mortali. Il suicidio stabilisce il momento non la condizione. L’uomo è un animale mortale cosciente, tutto il resto è mortale incosciente. Perché abbiamo sviluppato la coscienza autocosciente difficilissimo comprenderlo. Forse la paura, la difesa dall’aggressione ci ha suscitato attesa, ansia, sbarcando in una ramificazione nella coscienza di essere coscienti. Gli animali hanno coscienza ma non come l’uomo autocoscienza, coscienza d’aver coscienza svincolata dall’immediatezza. Gli animali non si interrogano oltre, sulla vita, la vivono. Hanno scopi segnati, non deliberati. Non concepiscono domande problematiche, vivono. Non si dilemmano sulla origine e la fine, vivono.

L’uomo sta nel mondo spesso come uno straniero, vede e non comprende come mai c’è l’Universo, come mai esiste l’uomo cosciente di non capire. Incredibile. La nostra specialità sta nel capire di non capire. Nel tempo sociale, il tempo storico, tutt’altro. Fare o non fare, dare valore al tempo, non darlo, con una risultanza inevitabile, il tempo esistenziale assorbe il tempo sociale, la fine, la morte, il tempo sociale si immerge nell’annientamento esistenziale, il tutto diventa nulla, nell’uomo è il vertice della coscienza, il tutto diventa nulla, al grado che fare e non fare si pareggiano. Ma soccorre la noia, l’insoddisfazione, e pur coscienti del nulla, agiamo, in questo caso abbiamo compagnia negli animali, i quali si annoiano, e n correre, cacciare, comunicare, giocare. Similmente, l’uomo, pur cosciente del nulla, opera. L’uomo è naturale, storico, soprattutto metafisico, capace di interrogarsi sull’origine, sull’essere, su Dio, su tutto ciò che esiste. Interrogare e non fermarsi a vivere “naturalmente”. Ecce Homo!

Come mai esiste l’esistenza, e non sa rispondere. Quando noi diciamo esiste l’essere non sappiamo come mai esiste l’essere; quando noi diciamo esiste Dio non sappiamo come mai esiste, se esiste. Non possiamo dire che l’essere viene da qualcosa, sarebbe come dire che l’essere viene dall’essere, non possiamo dire che Dio è creato, né increato, né creante, come può creare se è già tutto? Non possiamo dire che è separato dal mondo, perché essendo tutto non vi sarebbe esistenza fuori di Dio. Non possiamo dire che è eterno ed il mondo nel tempo, se Dio è tutto il mondo è coeterno a Dio. L’uomo metafisico domanda senza risposta. La natura è muta. L’essere e Dio al di sopra di ogni comprensione. L’essere esiste ma non sappiamo come mai esiste. Dio non sappiamo se esiste. Dico, per la ragione. La fede crede in quel che sente. La fede finge che la ragione ha dei limiti e la oltrepassa considerandosi superiore. Ha fede nella fede, e dunque vale esclusivamente per la fede. Un Dio personale è inconcepibile, la persona suppone il limite, una persona totale non è “una” persona quindi un Dio personale è inconcepibile, contraddittorio.

Il tempo non è una dimensione dello spazio, la quarta dimensione dello spazio, come sosteneva Albert Einstein, né una distensione dell’animo, come sosteneva Sant’Agostino, il tempo è, cambiamento di una cosa in un’altra, i capelli neri diventano bianchi, questo mutamento è il segno del tempo, se non ci fosse mutamento, se ogni presenza restasse immobilizzata in sé, identica, non avremmo indicazione del tempo. Se una mela è rossa e dura, di poi gialla e molle abbiamo l’indicatore del tempo. Presso che tutti i mali provengono dalla svalutazione dell’esistenza. Chi ama la vita e ne sente l’insuperabile pregio, ha sommo riguardo della personale e altrui vita. E poiché alla morte provvede ferinamente la natura, di suo l’uomo dovrebbe cercare non soltanto di vivere e far vivere, addirittura di gioire. Il male è una derivazione dello sciupare l’esistenza: piccole cose, fastidi, avversioni, invidiuzze, non lo sforzo comune per grandiose finalità, le quali ci esalterebbero e soddisfacendoci del fare darebbero stima a noi stessi di noi stessi.

Persino la morte si penombrerebbe ad animare compimenti ammirabili. Potevamo non nascere, ma, essendo nati, la vita merita la nostra riconoscenza. Anche l’uomo è una specie transitoria, come altri animali non vi sarà traccia dell’uomo. Potremmo vivere diversamente e soprattutto ammirare la vita per quanto facciamo di bello. La felicità è semplice, sconosce il dolore, la gioia è risultante dalla coscienza della morte. Tra pochissimi anni moltissimi uomini non lavoreranno nei sistemi produttivi. Occorrerà proporre finalità all’umanità. Se non saremo in grado di gioire e di ammirare la bellezza, l’umanità diverrà un branco di gente sperduta nel non saper che fare. Incattivita per noia. Ed invece potremmo, potremmo, potremmo vivere!


di Antonio Saccà