Il figlio materno

lunedì 30 giugno 2025


Ho scritto su tre esistenze: Marx contro Marx, 1983; Ho ucciso Dio-Nietzsche, nel 1985; Il complesso di Mosè-Sigmund Freud, nel 1992. Magnifico immergersi in persone stimabili o in ogni caso inondative. Avrei aggiunto Colui che conosco massimamente e del quale massimamente percepisco la visione dell’esistenza, tragica ma con determinazione vitalistica, mi sarà impossibile: Ludwig van Beethoven! Quando scrissi la biografia di Freud la mia condizione era anomala. La psicanalisi di Sigmund Freud è argomentata sul rapporto dei figli con entrambi i genitori, ma io non conobbi mio padre, morì tragicamente due mesi dopo la mia nascita. Non era un padre da suscitare competizione. Vi erano i fratelli, equivalevano? Valeva come complesso di Edipo? I rivali erano i fratelli? Formulo una concezione che non esclude quella di Freud, l’avversione al padre per ottenere l’esclusività della madre. Piuttosto: capire se la madre ama più il coniuge o gli altri figli e meno te! non tu che ambisci la madre ma tu che scruti se la madre ama te sugli altri. Quando Franz Kafka decise di valere al minimo tanto da mutarsi in insetto spropositato, perché si declassa? perché la madre corre ad abbracciare il coniuge e Franz immagina l’intimità corporea, e che la madre ama il coniuge e non lui (lettera al padre)! Nell’estremizzare il fallimento di non essere amato e prediletto Kafka pervenne, a quanto conosco, all’impotenza: che vale il desiderio se non sei desiderato! Tu non sei “uomo”.

Ma la situazione ha un capovolgimento simmetrico: se la madre ti ama e predilige, tu conquisterai non soltanto tutte le donne (a meno che invece resti fedele alla madre come nell’omosessualità) ma vincerai, rassicurato dall’amore materno vivrai l’esistenza da conquistatore, non dubiterai di te stesso, tutte le donne tutte conquistate, tutte le mete raggiunte e consacrate alla madre. Più che l’antagonismo avverso il padre conterebbe l’atteggiamento della madre: se ama te nessun odio al padre ma trionfo coronato dalla madre. E ne dà esempio Freud. La madre, Amalia, fu la terza sposa di Jacob Freud, giovanissima. I figli di Jacob erano coetanei della giovane terza moglie. Nelle immagini di Sigmund ragazzo, snello, ben vestito, serio, in piedi, è accanto alla madre, seduta. Sembrano coniugi. Ma la realtà ha del rimarchevole. Per tutta la vita Sigmund faceva visita alla madre, vestendosi come per una visita formale di alto rilievo. La madre prediligeva Sigmund, suscitandogli quella energia sicura che lo caratterizza. Gabriele D’Annunzio era amatissimo dalla madre, riamata, caso netto di personalità conquistatrice di donne e di imprese. Giulio Cesare, si spingeva a sognare di unirsi alla madre che lo prediligeva, gli intenditori di sogni dissero a Cesare che la madre che Egli sognava era la Madre Terra e lo tranquillizzarono. Ma il caso mitico, come si dice, di madre che esalta il figlio al grado di escludere dalla nascita il vero padre ci viene da Olimpia, madre di Alessandro, la quale esaltava il figlio da negare che il padre fosse Filippo ma Zeus. Terrestremente, Stalin tenne la madre sempre vicino a sé.

Situazioni che complicano la teoria: Karl Marx, quando morì, sul petto, negli indumenti teneva cucita l’immagine del padre, che aveva predetto al figlio una sorte non comune, e che Marx stimava almeno quanto respingeva la madre. Una persona, una, può inclinare la mente, la personalità di chi raggiunge la relativa onnipotenza, quale concessa agli uomini, e sembrerebbe al di sopra di soccombenze emotive dall’esterno. Il contrario. L’uomo è massimo nell’essere massimante esposto, ma trae dalla percezione estrema la sua amplificazione. Valga il caso di Friedrich Nietzsche: dipendeva, proprio, dalla madre, la mancanza della madre, quando bambino fu in collegio, lo annichiliva di pena, abbiamo le missive alla madre. E come regge Nietzsche: si rende Superuomo, Colui che può fare a meno degli altri! La pazzia fu il modo per tornare dalla madre. Realmente. Tornò dalla madre. Anzi dalla “mamma”! E poté dire, e lo diceva: “Mammina”. E la madre lo ricullava.


di Antonio Saccà