venerdì 14 novembre 2025
Il tema salari è incandescente. E si salda con la necessità di una spinta innovatrice in Italia. Una lettrice mi ha scritto che non era d’accordo con #Albait su un punto: gli stipendi del settore pubblico non sono alti. Mi ha spiegato che a inizio carriera presso un’amministrazione pubblica aveva una retribuzione di due milioni e mezzo di lire. Oggi, con molte più responsabilità, ha duemilacinquecento euro. Ha ragione. Traduciamo i numeri.
Nel 1995, la retribuzione media annua in Italia era di 37.000 dollari (fonte: Openpolis).
Secondo l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) oggi è sempre di 37.000 dollari. Ma a parità di potere d’acquisto del 1995, oggi dovremmo avere 80.000 dollari, pari a 69.000 euro.
Gli italiani hanno perso per strada la metà del reddito. Metà soldi in mano, pressione fiscale doppia.
All’Università di Catania, grazie alla professoressa Stefania Mazzone e il prof. Saul Meghnagi, ho partecipato anche ad un dibattito sul tema dell’impatto della felicità nella produzione d’impresa spiegato nel testo di Simona Vinzi sulla ‘Competenza Umana’ e le risonanze emotive, di edizioni Bonanno. È risultata prepotente la perdita della felicità d’impresa e manageriale, che va recuperata, se vogliamo essere più liberi e godere di più benessere, emozioni, regole funzionali e diritti.
Il nostro problema è proprio la perdita di ricchezza e felicità. Dovuta ad un eccesso di mano pubblica e a un approccio imprenditoriale speculativo, poco strategico. Il privato si è adattato, ha accettato di avere pochi margini di libertà e di dipendere dalle scelte pubbliche. Le scelte pubbliche si basano su sprechi e la pressione fiscale aumenta a dismisura. I dati Istat dimostrano che più della metà della popolazione è incapiente per il fisco e necessita di aiuti. La restante metà della popolazione paga le tasse.
Cerchiamo controprove. La metà delle famiglie italiane è monoreddito. I nuclei con più di un reddito sono poco più del 50 per cento nel nord avanzato; nel nord deindustrializzato e al centro le famiglie plurireddito sono il 40 per cento. Nel Mezzogiorno solo il 30 per cento. Le famiglie con meno di diecimila euro sono il 36,5 per cento, in tutta Italia. Il divario retributivo uomo-donna è del 6 per cento tra operai e impiegati. Del 30 per cento nei ruoli dirigenziali. In questo quadro, c’è il 5 per cento della popolazione che detiene il 50 per cento della ricchezza nazionale. Una donna sola è il soggetto statisticamente più povero, in Italia.
Questi dati sono temi caldi per l’opposizione al governo. Ma i governi degli anni passati, composti dagli attuali partiti di opposizione, hanno dato il loro decisivo contributo al declino. Non ne parlano, quindi.
Di cosa parlano le opposizioni? Di un professore che rivendica il diritto di diffondere propaganda russa e di pseudo pace, per darla vinta alla Russia, animatrice di guerre terroristiche in Ucraina, Africa e forse Sudamerica. A sorpresa, anche la critica all’Europa che cerca di superare debolezza militare e frammentazione politica. L’antisemitismo è ormai sdoganato. L’obiettivo è interrompere collaborazioni scientifiche tra Israele e Italia per privilegiare collaborazioni con Iran, Cina, persino Afghanistan. Tutte narrazioni che puzzano di alto tradimento. Tesi antitaliane che accomunano aree del Pd, dei Cinque Stelle, dei Verdi, della Lega e la destra estrema di Fiore e del comunista Rizzo.
Tra i sindacati l’abbandono del progressismo è evidente. La Cgil e i sindacati marxisti hanno sostenuto per anni la “politica dei redditi” con governi di ogni colore che ha prodotto impoverimento. Quest’anno inaugurano la stagione sindacale con due scioperi generali politici, a sostegno della Palestina di Hamas. Nei prossimi venerdì le prime mobilitazioni sindacali. Con i contratti metalmeccanico e della scuola già sottoscritti, però. Parlano di solidarietà internazionale con regimi peggio che fascisti e richiedono l’inasprimento della pressione fiscale. Sono stati definiti “ricchi” i salariati con duemila euro netti. Follia.
Nasce la domanda: chi rappresenta l’Italia dell’innovazione e dei diritti concreti?
Con lucidità Anna Paola Concia in questi giorni ha spiegato con pazienza che la deriva della cultura woke ha cancellato la donna. Abbiamo conquistato la possibilità di vivere liberi dall’oppressione sessista. Ma questa libertà implica il riconoscimento dei sessi, non la loro cancellazione.
La premier Giorgia Meloni interpreta coerentemente il suo ruolo di leader conservatore. L’attuale opposizione con il mix di sostegno a regimi totalitari, soppressione dei diritti umani e civili, la compressione della libertà individuale, la filosofia dell’impoverimento sistematico, la richiesta di strapotere per lo Stato, anche della magistratura, si colloca più a destra del governo, in un atteggiamento reazionario.
Tra conservazione e reazione, manca chi rappresenti il desiderio di futuro. Occorre una sinistra liberista, forte, capace di spingere l’Italia verso l’innovazione, i diritti individuali, compresa la solidarietà. Servono liberalismo e socialdemocrazia veri per rappresentare le donne e gli uomini dell’innovazione. Due scuole autenticamente riformiste che devono cercare di trovare il modo di aggregarsi per coniugare Europa, patria, nazione, democrazia, solidarietà, ricchezza, diritti e doveri che rendano tutti più liberi. Le altre strade ci hanno impoverito assai.
di Claudio Mec Melchiorre