Il suicidio della democrazia genera il dittatoriale conformismo

lunedì 29 settembre 2025


La storia si ripete, ma mai allo stesso modo, altrimenti sarebbe scontato riconoscerla e prevenirla, la storia declina certi fenomeni, come quelli dittatoriali, con modalità esperienziali sempre differenti. Invero, oggi viviamo con delle istituzioni che formalmente garantiscono e tutelano i principi fondamentali di libertà, di uguaglianza e solidarietà, ma che nella sostanza sono meri strumenti funzionali a occultare interessi di certi centri di potere, che grazie anche e soprattutto all’evoluzione delle tecnologie, come le neuro tecnologie, vengono a condizionare le nostre scelte e quindi anche il nostro voto, illudendoci di permetterci di scegliere secondo la nostra volontà. I social, per esempio, insieme ai mass media, sono gli strumenti più efficaci per plasmare la pubblica opinione, creando e distruggendo, a distanza di poco tempo, miti, personaggi e obiettivi vitali, secondo strategie comunicative ben mirate. Tutto questo grazie alla nuova arma di distrazione di massa, il cosiddetto “politicamente corretto”, un dogma inconfutabile da cui nessuno può sottrarsi, neanche la politica. Infatti, la libertà si declina tramite la democrazia, la quale a sua volta si declina nel rispetto delle differenze, a cominciare dalle differenze di opinione.

Quando i partiti vengono meno nella loro funzione costituzionale di rappresentanza delle diverse visioni politiche, diventando delle mere cancellerie personali del personaggio politico di turno, il quale, come i fast food, tanto velocemente va in auge quanto in modo altrettanto celere decade e le differenze si riducono ad interessi personali o di determinati centri di potere. Inoltre, quando inizia un processo di demonizzazione del pensiero differente, in nome di una omologazione del pensiero unico – non forzata con la censura della dittatura, ma indotta in modo subliminale dal conformismo delle idee di potenti lobbies – si ottiene lo stesso risultato di ciò che avvenne con alcuni nefasti regimi del secolo scorso, ossia la dittatura. Una prova di quanto finora sostenuto è rappresentata dalle considerazioni storiche che fece l’illustre giornalista e scrittore, di grande sagacia toscana, Indro Montanelli, sul fenomeno storico del fascismo e del suo fondatore Benito Mussolini e sulla sua conquista del potere.

Montanelli, nella sua analisi, sosteneva che “certamente Mussolini fu un grossissimo politico, un uomo politico di grandissimo fiuto, di tempismo formidabile”, ma sicuramente non uno statista e i fatti lo hanno più che dimostrato. Attenzione, però, il suo giudizio era una critica storica e non un elogio, era più precisamente una riflessione amara su come un leader, inizialmente astuto, si trasformò col tempo nella caricatura di sé stesso. Per Montanelli ed è questo che ci interessa in riferimento al tema trattato, Mussolini conquistò il potere con rapidità sorprendente, fu bravo a cogliere l’umore del Paese, a sfruttare le paure e le divisioni, ma fu aiutato anche dalla debolezza dei suoi avversari. “La nullaggine” della classe politica liberale, incapace di dare risposte efficaci all’instabilità del dopoguerra, aprì la strada alla marcia del fascismo. Quindi, Montanelli prosegue considerando che nei primi anni, il duce seppe muoversi con astuzia, dimostrando di possedere il contatto con la piazza, il senso della realtà e della misura, ma col tempo, il potere assoluto lo logorò, distruggendo l’Italia stessa. Negli anni Trenta, Mussolini non era più l’uomo del 1922, dimostrando di aver perso la sua lucida astuzia, si era isolato nei suoi errori, fino a diventare “una marionetta, la caricatura di sé stesso”.

Gli errori clamorosi, soprattutto nella politica estera e durante la guerra, segnarono la sua rovina e ahimè quella dell’Italia. Invero, per entrare nel merito del tema in oggetto, è interessante soprattutto analizzare il giudizio che il giornalista emette sulla democrazia di allora, sostenendo che Mussolini non l’avrebbe “uccisa”, altresì l’avrebbe piuttosto seppellita, quando già era morta. La democrazia italiana del primo dopoguerra, fragile e divisa, incapace di riformarsi, si era in un certo senso suicidata e questa riflessione sposta l’attenzione non solo sulla figura del dittatore, ma anche sulle responsabilità di un intero sistema politico che non seppe reagire. Un ultimo elemento che aiuta a capire il successo del regime consiste nel fatto che Mussolini aveva intuito che, per farsi amare dagli italiani, bisognava dare a ciascuno una piccola fetta di potere, ossia una gerarchia diffusa, dove ognuno poteva sentirsi importante, con “dei galloni” da esibire. Così il fascismo costruì un sistema piramidale e autoritario che premiava la fedeltà e alimentava clientele, come oggi accade con coloro che si adeguano al conformismo del pensiero dominante. Pertanto, la storia di Mussolini, riletta con occhio critico, non è solo quella di un dittatore, ma è anche la storia di una nazione che non seppe difendere la propria democrazia e che, anzi, la vide morire dall’interno.

Una lezione che, ancora oggi, resta attuale, in quanto le democrazie non vengono abbattute da un giorno all’altro, ma muoiono lentamente se non sanno rinnovarsi. Quindi, è qui che la riflessione storica tocca direttamente l’Italia di oggi, con un imperante conformismo in ogni settore culturale, con la crisi di partecipazione politica, con un astensionismo che raggiunge livelli record e ciò rappresenta un segnale alquanto preoccupante. La frammentazione e l’impotenza dei partiti attuali e la difficoltà di costruire programmi solidi e condivisi lasciano spazio alla personalizzazione della politica, dove più che le idee contano i volti e i leader carismatici, con la scomparsa della funzione democratica di rappresentanza dei partiti. Inoltre, tutto ciò che sta accadendo in Italia è un copione che la storia italiana conosce già, perché quando i cittadini smettono di credere nelle istituzioni, di conseguenza la politica perde credibilità e cresce il rischio che qualcuno si presenti come “l’uomo della provvidenza”. Dunque, la lezione del fascismo, non appartiene solo al passato, ma ci ricorda che la democrazia vive se è nutrita dalla partecipazione, dal confronto e dalla fiducia reciproca, e dalle differenze di opinione contro ogni forma di monopolizzante conformismo. In caso contrario, come un organismo fragile, rischia di spegnersi dall’interno, di implodere, lasciando spazio a derive autoritarie che, pur in forme diverse, possono sempre riaffacciarsi, con tutto il loro conformismo dominante del pensiero unico.

“Historia magistra vitae” (Niccolò Machiavelli)


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno