Sciopero e Pro Pal

venerdì 26 settembre 2025


Non è la prima volta che l’Italia assiste a scioperi generali discutibili per le sue modalità di esercizio e per le sue motivazioni. Lo sciopero è un diritto costituzionale sacrosanto e il suo utilizzo per una causa come la pace a Gaza suscita molte perplessità. In particolare, l’articolo 40 della Carta stabilisce che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano” ossia delle leggi relative ai rapporti economici e sociali. Si tratta di una libertà che può apparire fuorviante. Anche in ragione delle facili concessioni rilasciate dalle autorità amministrative indipendenti come la Commissione di Garanzia per lo sciopero. Lunedì scorso i sindacati di base ne hanno fatto un abuso, snaturandone la sua funzione e, soprattutto, facendo venire meno la salvaguardia dei diritti fondamentali della persona e del funzionamento dei servizi pubblici essenziali.

Le aggressioni alle forze dell’ordine, i blocchi di treni, di autostrade, di porti e le occupazioni di scuole e di università, i cittadini indifesi e i turisti in fuga hanno avuto il sopravvento sulle bandiere sventolate per la pace. Era inevitabile che queste proteste sindacali, tra l’altro, frammentate e politicamente strumentali, finissero così, quando in diverse piazze italiane si sono alzati cartelli e cori che non solo chiedevano uno Stato palestinese libero (mai realmente esistito), ma inneggiavano al gruppo terroristico di Hamas, con l’obiettivo di delegittimare anche l’Occidente, il Governo, l’ordine democratico liberale, di cancellare l’esistenza dello Stato di Israele e di appoggiare consapevolmente l’asse autocratico formato da Cina, Russia, Corea del Nord e Iran. Quando una manifestazione smette di distinguere tra solidarietà e dolore per i civili di Gaza e appoggio al terrorismo medio-orientale e all’autoritarismo mondiale, il terreno diventa necessariamente fertile per degenerare in violenza e odio.

Sostenere la causa per i civili di Gaza e per il riconoscimento dello Stato di Palestina significa aprire una discussione vera, attraverso il dialogo, l’ascolto e il confronto in luoghi formativi e di aggregazione sociale come le scuole e le università, spiegando le radici del conflitto israeliano-palestinese, i trattati violati, il ruolo delle potenze coinvolte e le conseguenze nel mondo. L’equilibrio, la capacità di analisi, gli spazi di confronto e di approfondimento sono essenziali per evitare di alimentare una spirale di polarizzazione interna e per chiedere maggiore responsabilità alla comunità internazionale. Diversamente, la violenza, l’odio, l’antisemitismo, la trappola della disinformazione (alimentata dai social e da piattaforme ostili e pilotate) e il pensiero unico volto a riscrivere la storia, non solo non aiutano il popolo palestinese, ma lo danneggiano.

(*) Presidente di Ripensiamo Roma


di Donato Bonanni (*)