lunedì 30 giugno 2025
Dato l’alternarsi di guerra e pace, di riarmi controversi, di canti di vittorie e te deum intonati da tutti i contendenti, siamo andati a chiedere, come sempre, l’opinione a Machiavelli, il quale ci ha ricevuti con l’usuale cortesia.
Che ne pensa della situazione europea dopo le dichiarazioni di Trump sul riparto delle spese Nato?
Che il Presidente americano cerca di risparmiare. Soprattutto perché è convinto – ed ha ragione – che la Russa di Putin è molto meno pericolosa dell’Urss anche per l’Europa, onde può essere affrontata riducendo l’impegno americano, almeno quello convenzionale. Onde gli europei devono farsene carico.
Coloro i quali pensano che Putin sia un nuovo Lenin, un nuovo Trutzky o anche un nuovo Stalin, non hanno capito la “natura” di guerra civile mondiale del vecchio bolscevismo.
E il riarmo europeo è un rimedio?
A metà. Ai miei tempi ancora meno. Comunque, come scrissi, sono gli uomini e il ferro a procurare danaro e cibo, non viceversa; e aggiunsi che il disarmato ricco è premio del soldato povero. La conseguenza è duplice: che tutte le storie raccontate dai vostri governanti sulla povertà dei russi che avrebbero dovuto soccombere alla ricchezza dell’occidente, andavano, semmai, ribaltate.
Secondariamente, per non ripetere un simile error,e dovete considerare che l’altra metà è di assicurarsi una reale volontà di combattere tra i cittadini prima e nell’esercito, poi. Elemento decisivo della quale è la sintonia tra vertice e popolo. Che, come dice il vicepresidente Vance, in Europa è, a dir poco, carente.
Per conservare la pace, serve preparare la guerra? Oppure le armi la inducono?
Non so se la Meloni abbia letto Vegezio, ma per confortarne il pensiero basta il buon senso. L’opposta tesi omette di ricordare che la guerra dipende non solo dalla mia volontà, ma da quella del nemico. Il quale può essere dissuaso se l’obiettivo che si propone non può essere realizzato per la nostra preparazione militare. D’altra parte, ho scritto che la fortuna è arbitro di metà delle azioni umane, ma l’altra metà è a nostra disposizione: prepararsi alla difesa è costituire un argine alle inondazioni della storia. E virtù dei governanti apprestarlo, ma anche di questa da voi ce n’è poca, e mal distribuita.
Cosa ne pensa che nella guerra Usa-Iran-Israele tutti cantino vittoria? Non è impossibile?
Sicuramente. Ma può essere utile quando una sconfitta è evidente; evitare di far nascere dalla sconfitta il revanscismo, di cui i francesi (ma non solo) sono gli esperti: onde la sconfitta di oggi è gravida della guerra di domani. Ma se tutti si dichiarano vincitori, almeno tale convinzione è il vaccino migliore contro le velleità di rivincita.
Ma se c’è un nemico non è necessario batterlo?
Sì, ma non eliminarlo con un bellum internecinum. È col nemico che si fa la pace. Più la guerra è relativizzata, più è facile avviare trattative di pace.
Se ogni guerra è psicologica, e voi fate guerre più psicologiche che in altre epoche, ai gazzettieri e ai talk-show è affidato il messaggio di vittoria o sconfitta. Come c’è la guerra, c’è anche la pace psicologica. Propiziata da rappresentazioni disformi dal reale, ma tranquillanti.
Scrissi che in guerra l’inganno (al nemico) è sempre lecito; e non posso non dire che per fare la pace non sia lecito distorcere la realtà, raccontandosene un’altra, quanto meno verosimile, che consenta di salvare la patria e la sua indipendenza.
La ringrazio molto, caro Segretario.
Mi torni a trovare, una chiacchierata sul mondo mi tiene in esercizio.
di Teodoro Klitsche de la Grange