giovedì 22 maggio 2025
Ha ancora senso oggi che lo Stato italiano finanzi le confessioni religiose attraverso il meccanismo dell’8x1000? Più provocatoriamente, a chi giova davvero questo strumento? Il 19 maggio 2025, Papa Leone XIV ha nominato il cardinale Baldassarre Reina Gran Cancelliere dell’Istituto “Giovanni Paolo II” per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Il gesto ha suscitato attenzione, soprattutto perché comporta la rimozione (senza dimissioni) di monsignor Vincenzo Paglia, figura di rilievo dell’ala più progressista del clero italiano e per anni legato alla controversa Comunità di Sant’Egidio. La nomina segna quindi, secondo alcuni, un possibile cambio di rotta.
Perché questa nomina è importante sia per i cattolici sia per i non cattolici? Primo, perché può essere l’occasione per tornare a riflettere sulla principale concausa economica, spesso sottaciuta, della deriva progressista di una parte cospicua del clero italiano (di cui Paglia è uno dei più noti esponenti). Secondo, perché forse l’avvento di un papa americano può essere l’occasione per ripensare il metodo di sovvenzionamento del clero italiano, un metodo non solo ingiusto verso i non credenti, ma offensivo anche verso i cattolici.
Molti pensano che l’8x1000 sia un favore fatto alla Chiesa. In realtà, è un meccanismo che ha reso molte strutture ecclesiastiche – diocesi, istituti religiosi, enti della Cei – dipendenti da fondi pubblici. E come ogni dipendenza, questa ha un prezzo: quello della libertà. Il sistema dell’8x1000 prevede che una quota dell’Irpef versata dai cittadini venga redistribuita a enti religiosi o a finalità di interesse sociale. Anche chi non firma, contribuisce: la sua quota viene comunque assegnata, in proporzione alle scelte degli altri. Di fatto, è una forma di finanziamento obbligatorio per religioni “riconosciute”, tra cui quella cattolica. In teoria, l’8x1000 dovrebbe garantire il pluralismo religioso. In pratica, ha favorito un sistema clientelare e burocratico, in cui molte diocesi e istituti sono diventati enti “a bilancio statale”, con effetti collaterali gravi. Tra questi, ricordiamo la riduzione dell’autonomia economica delle comunità locali; l’allontantamento di molti cittadini da una Chiesa percepita più come “amministrazione” che come una realtà spirituale viva; infine, e soprattutto, la tendenza a compiacere le istituzioni, per timore di perdere i finanziamenti.
Qualunque organizzazione che dipende economicamente da un ente pubblico tenderà, nel tempo, a non mordere la mano che la nutre. Questo vale per i partiti, i giornali, le Ong, ma vale anche per la Chiesa. Ecco perché, in molte diocesi italiane, si è sviluppata una cultura del silenzio: evitare critiche scomode allo Stato, alle sue leggi, ai suoi orientamenti etici e politici. Non per convinzione, ma per prudenza economica. Cioè per debolezza strutturale. Questa autocensura ha un grave costo anzitutto per i cattolici, la maggioranza dei quali, tuttavia, sono così abituati al meccanismo da non rendersi conto dei lati negativi. Ciò che si ottiene, infatti, è un messaggio religioso annacquato, poco incisivo, sempre più adattato ai codici del politicamente corretto. È il prezzo che si paga quando si preferisce la sicurezza dei fondi statali alla libertà di parola.
L’8x1000 è uno strumento di controllo, più che di generosità. Lo Stato seleziona quali enti possono ricevere fondi, valuta la loro “utilità sociale”, premia chi collabora e penalizza chi dissente. È un metodo che mette tutte le religioni, compresa quella cattolica, sotto tutela. Da parte sua, la Chiesa italiana – o almeno una parte significativa del suo apparato – si è adattata. Ha sviluppato una mentalità assistenzialistica, burocratica, sempre meno capace di camminare con le proprie gambe, cioè con le donazioni volontarie dei fedeli.
Non è un caso che le Chiese più compromesse con lo Stato – come quella italiana o ancor più quella tedesca – siano anche quelle più progressiste e, spesso, quelle più reticenti nel denunciare i peccati e le derive morali della società e in particolare della classe politica. Non si tratta, ovviamente, di un rapporto causale deterministico. Vi sono ancora sacerdoti santi e vescovi integerrimi. La pressione istituzionale, tuttavia, è innegabile. A chi obiettasse che questo tipo di analisi sembrerebbe marxista – perché evidenzia come i fatti economici influenzino o addirittura causino i fenomeni ecclesiali – va risposto che l’errore del marxismo non sta nel riconoscere che le condizioni materiali possono incidere sui fenomeni sociali, ma nel credere che quelle sole siano all’origine degli stessi. All’origine delle ingiustizie sociali – questo i cristiani lo hanno sempre insegnato – ci sono i vizi individuali, i quali vengono nutriti, come direbbe San Paolo, dalla brama di denaro (confronta 1Tm 6, 10).
Chi sostiene che la Chiesa cattolica non possa fare a meno dell’8x1000 dovrebbe guardare a come funziona il sostentamento del clero in altre parti del mondo, dove lo stato non finanzia direttamente le confessioni religiose. Negli Stati Uniti, ad esempio, il clero cattolico è sostenuto quasi esclusivamente dalle offerte volontarie dei fedeli e da donazioni private, gestite in larga parte a livello locale. Ogni diocesi amministra in autonomia i propri bilanci, raccogliendo fondi tramite la tithe (decima), campagne annuali e fondazioni benefiche. Non esiste alcun meccanismo fiscale analogo all’8x1000. Eppure, la Chiesa americana è attiva, strutturata e, sotto molti aspetti, più dinamica di quella italiana. Soprattutto, è più libera: non avendo nulla da perdere da parte dello Stato, molte diocesi americane – anche in contesti leftisti – non esitano a prendere posizioni forti su temi controversi come l’aborto, la bioetica, il matrimonio o l’eutanasia. Non mancano ovviamente le contraddizioni e i problemi, ma il dato culturale è chiaro: una Chiesa economicamente indipendente è anche più coerente dal punto di vista dottrinale.
Al contrario, in Paesi come Italia e Germania, dove lo Stato finanzia direttamente le confessioni religiose (attraverso l’8x1000 o la Kirchensteuer), il clero è più restio a esprimere giudizi netti su temi sensibili. In Germania, in particolare, la tassa ecclesiastica ha prodotto un apparato molto ricco, ma spiritualmente in crisi, con chiese sempre più vuote e una teologia spesso allineata ai valori secolari dominanti. Questo non è un caso, ma l’esito prevedibile di una dipendenza economica sistemica.
Un modello sostenibile e coerente esiste: è quello in cui la Chiesa si finanzia dal basso, grazie all’impegno volontario dei fedeli e alla gestione oculata delle risorse, senza intermediazione statale. Questo non solo è più giusto nei confronti dei non credenti (che non si vedono imposti finanziamenti a confessioni religiose), ma è anche più sano per la vita interna della Chiesa. I dati lo confermano: negli Stati Uniti, nonostante la mancanza di fondi pubblici, la Chiesa cattolica è tra le più caritatevoli al mondo. Ogni anno raccoglie miliardi di dollari in beneficenza, mantenendo scuole, ospedali e programmi sociali. Tutto questo è reso possibile da una cultura che responsabilizza non solo i fedeli, ma anche i sacerdoti, e rende le parrocchie più autonome e partecipate.
di Gaetano Masciullo