Totalitarismo Big Tech: “Max” e non Marx

mercoledì 30 luglio 2025


È vero o no che le Big Tech non solo “fanno”, ma “sono” oggi l’essenza stessa della politica? Ovvero: in quale punto della gerarchia della Coscienza umana si colloca il Grande Fratello e il suo fedele servo del Surveillance State (Stato di sorveglianza numerizzato)? Sono, o no, questi due mostri moderni, soggetti stessi della politica o invece soggiacciono a essa? Allora, partiamo dalla constatazione che oggi il divino scultore ha deciso che il volto possibile della leadership coincida, in realtà, con un Giano Bifronte, in cui su di una faccia è dipinto il volto generico e totalitario dell’autocrazia, e sull’altro quello elettivo della democrazia. La differenza folgorante tra i due sta nell’uso della rete che ne fanno i loro rispettivi rappresentanti. Prendete Vladimir Putin e Xi Jinping: li avete mai sentiti esprimersi quotidianamente sui social, con i loro messaggini più o meno umorali, come fanno Donald Trump e una pletora di leader minori di lui al mondo, democraticamente eletti? Che poi sono tutti un po’ “Taco” (Trump always chickens out), tipo colui che tira il sasso e nasconde la mano, oppure che fa come il gambero, un passo in avanti e due indietro; dato che oggi dicono una cosa e, magari, addirittura pochi minuti (e, quando va bene, qualche giorno) dopo sono costretti a rimangiarsela o modificarla sempre in tempo reale. A ben vedere è proprio questa bulimia da apparato digerente erbivoro a costituire il vero sovrano della nostra epoca, dato che i partiti così detti democratici sono sempre più fagocitati dalle loro leadership bulimiche e iper-egotiche, che accentrano sulla loro personalità milioni e milioni di profili dei propri follower sui social. Invece, i loro antagonisti irriducibili, il russo e il cinese, hanno davvero capito tutto, anche perché l’estrema verticalizzazione delle decisioni è un collante salvavita per quelle Nazioni che, come Russia e Cina, sono un mosaico inestricabile di lingue ed etnie, pronto a esplodere in ogni momento.

Sarà bene, però, evidenziare a questo punto quale sia il loro incolmabile vantaggio sulle leadership democratiche, obbligate queste ultime a tenere conto delle proprie opinioni pubbliche, la cui volatilità è oggi tutta concentrata nel voto una tantum dove è proprio l’humus dei social network a dettare legge. Putin e Xi oggi “sono” il Grande Fratello e si servono in modo totalitario del loro super-sofisticato surveillance system, di cui certo il cinese ha l’esclusiva mondiale assoluta, essendosi mosso in tal senso fin dai primi vagiti del world wide web. Di lui e del suo regime si è scritto e analizzato di tutto, ma poco si sa di quello che sta mettendo in piedi, copiandolo di sana pianta dal celeste imperatore, il sedicente, nuovo Zar di tutte le Russie. In pratica, per Putin le cose stanno così: vuole imitare il suo grande alleato cinese costruendo “ad imperio” un suo vero e proprio Gulag digitale, destinato a funzionare nel seguente modo. Dal 1 settembre prossimo tutti i cittadini russi saranno obbligati a scaricare l’app Max, che malgrado la sua innocente apparenza di icona blu e bianca non conserva traccia della propria origine, né tantomeno lascia trasparire in alcun modo il suo carattere totalitario di Grande Fratello russo. Eppure, se tentate di cancellarla lei non si farà sopprimere e rimarrà come un virus inestirpabile nel sistema operativo del vostro device di schiavi russi. Occultata all’interno del suo sistema di messaggistica, Max informerà in tempo reale il grande fratello dell’Fsb (Servizio federale di sicurezza della Federazione russa) su tutto ciò che state facendo nella vostra vita ordinaria: dove siete; con chi parlate; che cosa e con quali modalità di pagamento state facendo acquisti; che cosa dite e pensate nelle comunicazioni scritte e verbali con i vostri interlocutori umani e profili social.

Per legge, Max (soprannominato come già detto il Gulag digitale onnipresente) dovrà essere installato in ogni device digitale venduto in Russia, assomigliando così come una goccia d’acqua al più famoso e super controllante WeChat cinese, che le autorità di Pechino utilizzano per la sorveglianza e la censura online. Queste ultime collegate al famigerato “sistema a punti”, per cui se ciò che si fa e si dice via device non piace al Partito comunista si viene letteralmente puniti, perdendo temporaneamente alcuni diritti civili, come libertà di spostamento (non potendo acquistare né biglietti aerei, né ferroviari); autorizzazioni pubbliche a fare; sospensione di licenze, e così via. Strumento totalitario numerizzato per eccellenza, Max è un gigantesco passo avanti rispetto alla più ingenua posizione iniziale di Putin in merito a Internet. Del resto, quando 25 anni fa lo Zar è arrivato al potere, solo l’1 per cento dei russi erano sulla rete, per cui il Cremlino poteva ignorarne l’esistenza. La stessa cosa accadeva nel 2010, quando un Putin distratto pensava pubblicamente che il 50 per cento dei contenuti online fosse solo “materiale pornografico”. Il cambiamento radicale avviene nel 2011, in occasione delle prime grandi manifestazioni popolari a Mosca contro il regime, organizzati attraverso i messaggi scambiati sui social come YouTube e Facebook, che divennero allora i più potenti strumenti organizzativi a disposizione dell’opposizione.

Da lì nasce il cambiamento radicale di posizione di Putin che, a quel punto, capì che lasciato a se stesso Internet avrebbe provocato la fine del suo regime. Trump, invece, con quello stesso strumento ci ha vinto due elezioni! All’inizio, sfruttando al massimo i soliti toni ipernazionalisti (che oggi gli permettono di sopravvivere alla sua avventura folle “dell’Operazione speciale”), nel 2014 Putin iniziò a denunciare Internet come “progetto della Cia”. Così, oggi, per far digerire ai suoi sudditi mister “Max”, il regime ha pensato bene di bandire la maggior parte delle app di messaggistica, come WhatsApp, utilizzato dall’incirca il 70 per cento dei russi ma definito da un parlamentare putiniano come “una minaccia alla sicurezza nazionale”. Anche Meta non è stato risparmiato da questa ondata di epurazioni digitali, dato che l’intenzione del regime è di mettere fuori legge Facebook e Instagram, etichettati come “estremisti” all’inizio dell’invasione in Ucraina nel 2022, in quanto non pochi utenti si erano espressi contro “l’Operazione speciale” di peacekeeping (ma pensa tu!). A più di tre anni dall’inizio dell’invasione, è ancora illegale, e soggetto a sanzioni penali, condividere o mettere dei “like” a siti o altri contenuti online che il Cremlino ha messo fuori legge, metodi questi ultimi che diverranno una regola sempre più diffusa ed estesa, una volta che Max entrerà in ogni device presente in Russia, penalizzando tutti coloro che condivideranno o soltanto usufruiranno per proprio conto di materiali online vietati.

Tanto per capire come stanno andando le cose, nel 2024 la Russia ha bloccato qualcosa come 420mila siti web, per cui milioni di russi hanno fatto ricorso a Vpn, per aggirare la censura governativa, nascondendosi in tal modo dalla caccia dell’Fsb. Anche se, finora, YouTube non è stato bloccato, i russi ne hanno molto rallentato la visione dei contenuti online, facendo così perdere al sito web l’80 per cento del suo traffico, a partire dallo scorso dicembre. Per ora, sembra essersi salvato dalle forbici della censura soltanto Telegram, fondato dal tycoon russo Pavel Durov, al prezzo di una più che probabile sua collaborazione con l’Fsb per scoprire i “traditori da tastiera”. I pro-Putin sono avvisati: prendete lui e Max in casa vostra e vi taglieranno la lingua!


di Maurizio Guaitoli