Quando l’Ia entra in classe: studenti e scuola al bivio del sapere

martedì 6 maggio 2025


L’intelligenza artificiale rappresenta ben più di un semplice ausilio didattico o strumento tecnologico. Essa incarna la manifestazione più sofisticata della logica tecnica che ormai permea la nostra civiltà. Questa logica non si accontenta di affiancare l’essere umano: aspira a rimpiazzarlo, riducendo ogni dimensione dell’esperienza a ciò che può essere quantificato, automatizzato e ottimizzato. Gli studenti contemporanei sono immersi in questa trasformazione radicale. L’Ia redige componimenti, sintetizza opere letterarie, risolve questioni complesse, traduce lingue. E mentre da un lato velocizza l’accesso alle informazioni e amplifica le opportunità di apprendimento, dall’altro incoraggia la delega progressiva dello sforzo intellettuale, del confronto dialettico, dell’atto creativo. Non possiede quindi neutralità intrinseca: orienta verso una forma di conoscenza sempre più esternalizzata, automatica, sempre meno vissuta come esperienza personale. Non scholae, sed vitae discimus (“Non impariamo per la scuola, ma per la vita”). Questa massima di Seneca risuona oggi con particolare urgenza: il vero apprendimento non è accumulo di nozioni.

Chi studia rischia di trasformarsi in spettatore passivo del proprio percorso formativo, limitandosi a ricevere risposte preconfezionate, anziché edificare il sapere attraverso il proprio impegno. Come un fiume che, deviato artificialmente dal suo corso naturale, perde la forza di scavare il proprio letto e modellare il paesaggio, così la mente che si affida completamente all’automazione perde le sue facoltà più preziose: la memoria, l’intuizione, il pensiero critico, la capacità di sintesi. L’Ia procede per accumulazione di dati e correlazioni statistiche. L’uomo, invece, comprende i significati, interpreta i simboli, trasforma l’informazione in sapienza. In una espressione: è in relazione con la verità. Anche professioni che sembravano inattaccabili – dalla ricerca scientifica alla scrittura creativa – vengono gradualmente assorbite dal meccanismo della sostituzione tecnologica. Il pericolo maggiore non risiede solamente nel plagio o nella disonestà accademica.

Il vero rischio è l’assuefazione: abituarsi a un mondo in cui non è più necessario interrogarsi profondamente, in cui si accettano risposte automatiche senza ricercare la verità che trascende l’efficienza. In questo senso, l’Ia non è uno strumento da utilizzare con maggiore o minore consapevolezza: è una forza che modifica la relazione stessa tra l’essere umano e il sapere. Anche il panorama lavorativo si sta conformando a questa logica. Chi si dimostra incapace di rinnovare le proprie competenze, chi si accontenta di eseguire mansioni standardizzate, verrà inevitabilmente superato. E non saranno coinvolte esclusivamente occupazioni burocratiche: persino attività tradizionalmente considerate “creative” subiscono processi di semplificazione e standardizzazione. Resistono solo alcune professioni manuali e artigianali, dove la complessità del gesto umano oppone ancora, almeno temporaneamente, resistenza all’automazione.

Per gli studenti, la sfida assume carattere radicale: non si tratta semplicemente di “utilizzare consapevolmente” l’Ia, ma di resistere alla tentazione di delegare la propria intelligenza. È necessario un risveglio, un ritorno all’essenziale: studiare non per accumulare risposte, ma per esercitare le facoltà che definiscono autenticamente la nostra umanità. Le istituzioni educative dovranno insegnare a distinguere tra il sapere che forma e quello che si consuma come prodotto effimero. La sfida comprenderà anche la capacità di riconoscere le nuove forme di inganno: l’Ia può falsificare testi, immagini, identità, assottigliando progressivamente il confine tra autentico e artificiale. Ma proprio questa crisi potrebbe trasformarsi nell’opportunità per comprendere, finalmente, cosa distingue l’intelligenza artificiale dalla nostra: la capacità di trascendere il dato empirico, di cogliere il senso profondo, di ricercare un significato che nessun algoritmo potrà mai garantire. Chi saprà preservare e coltivare questa differenza non soccomberà, ma potrà affrontare il futuro con rinnovata consapevolezza e forza interiore.


di Claudio Amicantonio