Ucraina, perché votare ora aiuterebbe solo il Cremlino

venerdì 19 dicembre 2025


L’unico vero vincitore di eventuali elezioni ucraine in tempo di guerra sarebbe Vladimir Putin. Nelle ultime settimane il presidente Volodymyr Zelenskyy è tornato sotto pressione affinché l’Ucraina vada alle urne nonostante il conflitto in corso, dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump lo ha accusato di sfruttare l’invasione russa per rinviare il voto e ha sostenuto che sia arrivato il momento di restituire la parola agli elettori. Zelenskyy ha risposto dichiarandosi teoricamente disponibile a organizzare elezioni entro due o tre mesi, ma ha anche chiesto un coinvolgimento diretto dei partner occidentali, in particolare degli Stati Uniti e dell’Europa, per garantire la sicurezza del processo elettorale. “Chiedo apertamente che gli Stati Uniti ci aiutino, magari insieme ai colleghi europei, a creare le condizioni di sicurezza per le elezioni”, ha affermato il 10 dicembre. La disponibilità del presidente ucraino a discutere di elezioni testimonia il suo attaccamento ai principi democratici, ma cedere alle pressioni internazionali in questo momento sarebbe un errore strategico. Indire un voto nazionale mentre il Paese è sottoposto a bombardamenti quotidiani e milioni di cittadini sono sfollati non rafforzerebbe la democrazia ucraina, ma offrirebbe a Mosca una potente vittoria propagandistica.

Il tema delle elezioni in tempo di guerra è tornato ciclicamente al centro del dibattito dalla primavera del 2024, quando il mandato presidenziale di Zelenskyy è formalmente scaduto, e la Russia ha più volte sfruttato l’assenza di elezioni per tentare di delegittimare le autorità di Kyiv. Si tratta però di un’argomentazione infondata: la Costituzione ucraina vieta esplicitamente lo svolgimento di elezioni mentre è in vigore la legge marziale, introdotta all’inizio dell’invasione russa su vasta scala nel febbraio 2022. Questo divieto non è una scappatoia giuridica né una comodità politica, ma una garanzia pensata per assicurare la continuità dello Stato in una fase di emergenza esistenziale. È vero che, in teoria, la legislazione potrebbe essere modificata, ma rimettere mano alla Costituzione nel pieno di una guerra su larga scala rischierebbe di aprire una crisi istituzionale, distraendo il Parlamento, il sistema giudiziario e l’opinione pubblica dallo sforzo bellico e alimentando divisioni e instabilità interne. Al di là degli aspetti giuridici, però, il problema centrale è che un’elezione in tempo di guerra non potrebbe mai rispettare gli standard democratici minimi di libertà, equità e rappresentatività. Un voto realmente democratico richiede condizioni di sicurezza, parità di accesso alla campagna elettorale e la possibilità per tutti i cittadini aventi diritto di votare.

Nessuna di queste condizioni oggi esiste in Ucraina. Le questioni di sicurezza, da sole, basterebbero a escludere l’ipotesi di elezioni. Con la Russia che colpisce quotidianamente obiettivi civili in tutto il Paese, sarebbe impossibile per i candidati organizzare comizi e incontri pubblici senza esporre la popolazione a rischi enormi. I seggi elettorali diventerebbero inevitabilmente bersagli di alto valore per droni e missili russi, mettendo in pericolo milioni di elettori e decine di migliaia di operatori. A questo si aggiungono ostacoli logistici quasi insormontabili: milioni di ucraini vivono oggi come rifugiati nell’Unione europea e in altri Paesi, mentre altri milioni sono sfollati interni. Le liste elettorali dovrebbero essere riscritte da zero e, soprattutto, milioni di cittadini che vivono nei territori occupati dalla Russia sarebbero esclusi dal voto, privando una parte significativa dell’elettorato della possibilità di esprimersi e compromettendo ulteriormente la credibilità del risultato. Procedere comunque con elezioni in queste condizioni avrebbe un altissimo potenziale destabilizzante. Un processo elettorale inevitabilmente imperfetto, segnato da esclusioni di massa e forti limitazioni alla campagna, offrirebbe a Mosca l’occasione ideale per contestarne la legittimità, alimentare divisioni interne e minare la credibilità del governo ucraino agli occhi dei partner internazionali.

L’instabilità politica che ne deriverebbe potrebbe rappresentare una minaccia per la sopravvivenza dello Stato ben più grave di qualsiasi presunto deficit democratico temporaneo. Secondo la Costituzione, Zelenskyy resta il presidente legittimamente eletto dell’Ucraina e continuerà a esserlo finché le condizioni di sicurezza non consentiranno la revoca della legge marziale e l’organizzazione di elezioni autenticamente libere ed eque. Questo potrà avvenire solo dopo un cessate il fuoco completo e verificabile. Finché le bombe continueranno a cadere su città e villaggi, la priorità di Kyiv non potrà che restare la difesa del Paese.

Gli ucraini stanno combattendo per proteggere la loro democrazia dall’autoritarismo russo e non hanno bisogno di dimostrazioni formali di normalità in piena guerra. I sondaggi mostrano con costanza che la maggioranza della popolazione si oppone alle elezioni mentre le ostilità continuano. Quando arriverà il momento giusto, saranno gli stessi ucraini a rivendicare con forza il ritorno alle urne. Per ora, sanno che quel momento non è ancora arrivato.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza


di Renato Caputo (*)