lunedì 17 novembre 2025
L’Ucraina sta affrontando una crisi abitativa che le Nazioni unite definiscono “senza precedenti”, un’emergenza che si trascina ormai da oltre tre anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala da parte della Federazione russa. Le dimensioni del fenomeno sono tali da ridisegnare il paesaggio urbano e sociale del Paese: secondo il recente rapporto dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), più di 236mila edifici sono stati distrutti o danneggiati e almeno 2,5 milioni di unità abitative – circa il 10 per cento del patrimonio edilizio nazionale – risultano inagibili o devastate.
La distruzione materiale è solo una parte del problema. La guerra ha costretto a lasciare la propria casa 10,6 milioni di persone, quasi un quarto della popolazione prebellica. E se molti hanno varcato i confini del Paese, 3,7 milioni di ucraini vivono oggi in condizione di sfollamento interno. Per loro, trovare un’abitazione sicura, stabile e sostenibile è diventato uno degli ostacoli più difficili da superare. Secondo il rapporto delle Nazioni unite, due terzi degli sfollati interni faticano a pagare il nuovo alloggio. Le famiglie devono spesso destinare metà del proprio reddito al pagamento dell’affitto, una percentuale che mette in crisi la capacità di sostenere le altre spese essenziali. Molti hanno già consumato tutti i risparmi; altri si vedono costretti a ridurre il riscaldamento in pieno inverno o rinunciare a cure mediche per continuare a pagare il canone. Una dipendenza forzata dal mercato degli affitti, peraltro poco regolamentato, che espone gli sfollati a rischi continui di sfratto, aumenti improvvisi o condizioni contrattuali incerte.
Lo squilibrio tra domanda e offerta è evidente. Il patrimonio comunale è limitato, spesso danneggiato, e nelle città – da Kyiv a Dnipro, da Lviv a Odessa – l’arrivo massiccio di sfollati ha saturato il mercato. Le case disponibili non sono sufficienti, e quelle che lo sono risultano spesso troppo care o in condizioni precarie. L’Oim rileva che quasi un terzo degli sfollati vive in spazi inferiori agli standard minimi previsti dal codice edilizio ucraino, soprattutto tra le famiglie con bambini e tra i nuclei con reddito basso. A tutto questo si aggiunge un problema di sicurezza abitativa: solo il 40 per cento degli sfollati che vivono in affitto possiede un contratto scritto, mentre nelle aree rurali questa percentuale scende drasticamente. L’assenza di documenti formali rende gli sfollati particolarmente vulnerabili a sfratti improvvisi e abusi. Non sorprende quindi che una parte degli sfollati scelga di continuare a vivere in alloggi pubblici, dormitori o centri collettivi, dove la sicurezza è maggiore, anche se le condizioni non sono sempre dignitose.
Il governo ucraino ha tentato di rispondere alla crisi con programmi di sostegno, tra cui contributi in denaro, protezione contro gli sfratti e iniziative come la nuova formula di mutuo agevolato “eOselia” o il programma di sussidio statale per l’affitto avviato nel 2025. Tuttavia, l’Oim segnala che la conoscenza di questi strumenti è ancora troppo bassa: meno della metà degli sfollati ne è informata e soltanto una piccola quota ha inoltrato domanda, frenata dalla complessità burocratica e dalla riluttanza di molti proprietari ad aderire ai programmi pubblici. Gli attori umanitari e di sviluppo – dalle agenzie delle Nazioni unite alle Ong locali – affiancano le autorità nella ricerca di soluzioni: assistenza finanziaria e legale, programmi di sostentamento, ristrutturazioni del patrimonio comunale, realizzazione di moduli abitativi temporanei. Ma la pressione resta enorme, soprattutto nelle grandi città e nelle oblast più vicine al fronte. “La casa è più di un riparo: è la base per ricostruire il futuro”, ricorda Robert Turner, capo missione dell’Oim in Ucraina. “Sostenere gli sfollati significa permettere loro di ritrovare stabilità, accesso al lavoro e una prospettiva di vita duratura”. Finché la guerra continuerà, la crisi abitativa rimarrà una delle ferite più profonde per le comunità ucraina. E il ritorno alla normalità non potrà prescindere dalla ricostruzione di interi quartieri, dal rafforzamento del mercato degli affitti e dalla creazione di politiche abitative più inclusive, capaci di restituire una casa – e una sicurezza – a milioni di persone oggi in bilico.
Un richiamo a non voltarsi dall’altra parte giunge dal presidente Sergio Mattarella che, a Berlino, è stato ospite del Bundestag. “La pace non è un traguardo definitivo – afferma il presidente – bensì il frutto di uno sforzo incessante, fondato sul raggiungimento di valori condivisi e sul riconoscimento dell’inviolabilità della dignità umana di ogni persona, ovunque”, aggiungendo che il multilateralismo “è la voce che richiama al valore della vita di ogni singola persona, contrapposta all’arroganza di chi vorrebbe far prevalere la logica di una spregiudicata presunta ragion di Stato, dimentica che la sovranità popolare appartiene, appunto, ai cittadini. La sovranità è dei cittadini e non di un Moloch impersonale che pretenda di determinarne i destini”.
“La sovranità di un popolo non si esprime – ribadisce il presidente – nel diritto di portare guerra al vicino, la volontà di avere successo di una nazione non si traduce nel produrre ingiustizia, la guerra di aggressione è un crimine”. Rivendica Mattarella: “Non lasciamo che, oggi, il sogno europeo – la nostra Unione – venga lacerato da epigoni di tempi bui. Di tempi che hanno lasciato dolore, miseria, desolazione. Questo dovere ci compete. A ogni generazione il suo compito”. A noi viene chiesto di non restare spettatori mentre, nel cuore dell’Europa, la brutale violenza esercitata da Mosca prova a demolire, oltre alle case ucraine, anche ciò che siamo.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)