lunedì 10 novembre 2025
L’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York invia un messaggio potente a tutto il mondo. Nel cuore stesso del capitalismo globale, ha vinto un socialista. Frank Sinatra cantava: “Se ce la faccio lì, ce la farò ovunque, dipende da te, New York, New York”.
Quella frase ora risuonerà in modo diverso per i socialisti di tutto il mondo. La vittoria di Mamdani ha un significato globale. È persino ipotizzabile che l’anno prossimo un socialista possa diventare sindaco di Berlino: i sondaggi attuali lo suggeriscono.
Mamdani ha basato la sua campagna elettorale sullo slogan che non dovrebbero più esserci miliardari. Secondo Forbes, non ci sono miliardari solo a Cuba, in Corea del Nord e in alcune delle nazioni africane più povere del mondo. Anche la Svezia, su base pro capite, ha più miliardari degli Stati Uniti.
Mamdani, come tutti i socialisti prima di lui, non riuscirà a mantenere le sue promesse. Ma lui e i suoi alleati non daranno la colpa a se stessi. Al contrario, punteranno il dito contro gli altri, in particolare Donald Trump.
I socialisti hanno sempre bisogno di capri espiatori per i loro fallimenti. Il disastro in Venezuela, dove il 30% della popolazione è fuggita da che nel 1999 ha avuto l’inizio l’esperimento del “socialismo del ventunesimo secolo” (e l’80% di coloro che sono rimasti ora vive in povertà), viene spiegato dando la colpa alle sanzioni statunitensi. Lo stesso si dice di Cuba e della Corea del Nord: la loro miseria, sostengono, non esisterebbe senza le sanzioni americane.
La minaccia di Trump, quindi, sebbene comprensibile, è strategicamente poco saggia: tagliare o ridurre i fondi federali a New York darebbe ai socialisti una comoda scusa per quando le cose andranno male.
La vittoria di Mamdani è stata in gran parte determinata dal crescente sentimento anticapitalista tra i giovani americani. Negli Stati Uniti, l’immagine complessiva del capitalismo rimane positiva, ma sta cambiando tra le giovani generazioni. Un sondaggio Ipsos Mori condotto quattro anni fa ha mostrato che la maggior parte degli americani sotto i 30 anni rifiutava il capitalismo. Solo il 21% degli intervistati sotto i 30 anni era d’accordo sul fatto che “il capitalismo potrebbe non essere il sistema ideale, ma è comunque migliore di tutti gli altri sistemi economici”, rispetto al 51% di quelli sopra i 60 anni. In nessun altro Paese oggetto dell’indagine il divario generazionale sull’atteggiamento nei confronti del capitalismo era così netto come negli Stati Uniti.
Anche a livello globale l’anticapitalismo è in aumento, in particolare tra i giovani. Poco prima del crollo della DDR, Erich Honecker disse: “Né il bue né l’asino possono fermare il corso del socialismo”. I sostenitori del capitalismo dovrebbero svegliarsi e fare tutto il possibile per assicurarsi che alla fine non abbia ragione.
(*) Rainer Zitelmann
Storico, saggista, autore di “La forza del capitalismo“, “Ricchi! Borghesi! Ancora pochi mesi“ ed “Elogio del capitalismo“ (Ibl Libri)
di Istituto Bruno Leoni