lunedì 10 novembre 2025
Gli psicologi sociali hanno spiegato a sufficienza che ciò di cui non si parla alla fine, per quanto possa trattarsi di eventi drammatici, scompare dallo spettro della consapevolezza collettiva. La conferma della validità di tale teoria è data dal silenzio totale su quanto sta accadendo da molti anni nella regione dello Xinjiang (nel nord-ovest della Repubblica Popolare Cinese) dove il popolo Uiguri è sottoposto, per mano della Cina, a una feroce persecuzione di massa.
In Italia, l’unica voce che si leva per denunciare un simile crimine è quella del Partito radicale e della mai lodata abbastanza Radio Radicale. Eppure, ci troviamo di fronte a una delle più gravi emergenze in tema di diritti umani degli ultimi anni.
Secondo il Council on Foreign Relations, il numero di persone detenute nei cosiddetti campi di rieducazione si aggira intorno ai tre milioni su undici milioni di residenti. Sono sottoposti a lavori forzati, vengono regolarmente torturati e costretti a seguire lezioni di indottrinamento ideologico. Alla popolazione femminile viene inflitta la pratica crudele della sterilizzazione forzata. Infatti, nello Xinjiang il tasso di natalità nelle zone a maggioranza uiguri fra il 2015 e il 2018 (gli unici dati a disposizione) è sceso del 60 per cento rispetto al 9,7 per cento dell’intera Cina. Ma non finisce qui. La sorveglianza quotidiana delle persone e delle famiglie è di tipo orwelliano. Le autorità utilizzano telecamere di riconoscimento facciale e ricorrono ad algoritmi per identificare i potenziali soggetti a “rischio”.
Un rapporto del Global Centre for the Responsibility to Protect mette in evidenza che nello Xinjiang Pechino vìola quattro princìpi della Convenzione sul genocidio: divieto di mettere in atto misure volte a prevenire le nascite, di causare gravi danni fisici e psicologici alle persone, di creare condizioni di vita tali da distruggere in parte o totalmente un gruppo, di effettuare trasferimenti forzati di bambini. Il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani parla di “crimini contro l’umanità”.
Gli Uiguri sono una popolazione turcofona di religione islamica (sunnita) con alle spalle un’antica tradizione culturale, linguistica e religiosa diversa dalla maggioranza Han cinese. Sono vittime di una sistematica repressione per ragioni di controllo politico, identitario ed economico. La Cina segue la strategia della sinizzazione, per mezzo della quale punta ad assimilare le culture minoritarie alla cultura Han. Il che significa per gli Uiguri non potere praticare liberamente la propria religione, né parlare la propria lingua. Pechino riferisce di operazioni per contrastare i movimenti separatisti, ma la verità è un’altra. Lo Xinjiang è una area strategica sia per ragioni geografiche che per motivi economici. La regione è un passaggio fondamentale per la realizzazione della nuova via della seta in direzione dell’Asia centrale. Inoltre, è una terra ricca di risorse naturali: gas, carbone, ma soprattutto vi sono le preziosissime terre rare. Intanto, a fronte di tanti crimini, la comunità internazionale continua ad essere latitante. Il peso economico e diplomatico della Cina consiglia di stendere un velo di silenzio su quanto accade. La lotta di un popolo per la propria sopravvivenza può attendere.
di Francesco Carella