Russia: anche l’economia di guerra vacilla

lunedì 6 ottobre 2025


Soprattutto in questi ultimi anni “l’economia di guerra” sta subentrando prepotentemente “all’economia di pace”, anche se nella maggior parte delle nazioni tale differenza è inesistente. Tuttavia, l’economia in funzione della guerra crea dei “valori”, che anche se strutturali a tale esigenza, lasciano grandi tracciati a quell’economia che si sviluppa in periodi di pace. Comunque, quando in una nazione vige l’economia legata ai conflitti, quella legata ai periodi di pace subisce un rallentamento se non un blocco. Nondimeno, quando i conflitti sono molti e coinvolgono grandi Paesi, l’economia di guerra si sviluppa a livello tentacolare anche in quelle nazioni che non sono direttamente coinvolte. Oggi abbiamo numerosi esempi di nazioni ufficialmente non in guerra che esaltano la propria industria militare fatturando cifre dal peso economico enorme, sviluppando tecnologie non sperimentabili in assenza di guerre, dando quindi ampi spazi all’economia di guerra all’interno del proprio sistema economico.

In Russia, ad esempio (ma quasi in ogni realtà statale), l’economia di guerra è latente ma soprattutto strutturale, accentuando il suo peso in questi ultimi tre anni e mezzo, e anche se ha dato rilevanti segni di efficienza a livello socio-economico, sta da alcuni mesi mostrando importanti fragilità. Infatti Mosca è in procinto di aumentare le tasse per finanziare il bilancio della difesa, mentre le entrate petrolifere stanno presentando delle gravi diminuzioni. Le sanzioni occidentali, come è dimostrato, non hanno influito particolarmente sulle spese militari della Russia, le quali hanno sostenuto fortemente la sua economia di guerra. Così dall’inizio del conflitto contro l’Ucraina, febbraio 2022, dopo un periodo di esaltazione economica, ora le dinamiche dell’economia sono in stallo. Il deficit di bilancio si sta ampliando e le entrate energetiche stanno crollando. Al momento, le casse russe hanno bisogno di essere sostenute e il governo moscovita ha trovato, tra varie misure economiche, quella di aumentare l’imposta sul valore aggiunto dal 20 al 22 per cento. Il Ministero delle Finanze russo, che ha applicato tale decisione, ha affermato che i fondi recuperati serviranno a coprire soprattutto le spese per la sicurezza e la difesa.

Non casualmente questo piano economico è stato reso noto dalla Russia il 24 settembre, il giorno dopo che il presidente Donald Trump aveva dichiarato che la Russia si trovava in “grossi guai economici” e dopo averla definita “una tigre di carta”, affermazione ritenuta da Vladimir Putin una battuta di Trump. Tale osservazione è stata pronunciata dal presidente russo in un lungo discorso pronunciato in chiusura del 22° Valdai international discussion club di Sochi, tenutosi dal 29 settembre al 2 ottobre. In questa occasione ha espresso anche in modo sarcastico forti critiche alla Nato e all’Europa.

Intanto la propaganda prosegue a sostegno delle dure misure che Mosca è obbligata a applicare e sta già in parte applicando, esaltando le conquiste territoriali in Ucraina. Così la settimana scorsa il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che nel 2025 l’esercito è arrivato a conquistare 4.714 chilometri quadrati di territorio ucraino; ma l’Isw, Institute for the study of war, organo apparentemente indipendente, con sede a Washington, ha invece stimato che la cifra reale è circa 3.430 chilometri quadrati. Un gonfiamento strumentale dei dati reali circa l’avanzata in Ucraina, finalizzati a sostenere la opinabile, se non falsa, narrazione del Cremlino secondo cui una vittoria russa in Ucraina è inevitabile. Inoltre, a fine settembre i portavoce dell’esercito russo hanno dichiarato di aver occupato Kalinovskoye, nell’oblast’ di Dnipropetrovs’k, e Derilovo, Mayskoye, Sandrigolovo e Kirovsk nell’oblast di Donetsk. Insomma un’occupazione a tenaglia che si dovrebbe stringere verso la parte centrale dell’Ucraina.

Questa situazione si innesca con la svolta di Trump, che in base alle ultime dichiarazioni mostra un’inversione di rotta rispetto alla politica da lui seguita nei primi quasi nove mesi del suo mandato. Si passa dal suo primo discorso agli alleati europei del 12 febbraio, quando il segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth affermò che il ritorno ai confini dell’Ucraina prima del 2014, occupazione della Crimea, è un obiettivo irrealistico. Poi sempre a febbraio Trump, alla Casa Bianca, accolse in modo durissimo Volodymyr Zelensky, attribuendo a lui la causa della guerra della Russia all’Ucraina. Così, dopo le fallimentari passerelle e negoziati con Putin, il 22 settembre – a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni unite ha lodato la strenua resistenza dell’Ucraina, definendola “sorprendente”. Per poi ipotizzare che l’Ucraina avrebbe potuto anche ottenere la vittoria militare. Insomma, una questione di parole o di fatti? Certamente con questi presupposti oltre che non vedere all’orizzonte la pace non si scorge nemmeno la speranza.


di Fabio Marco Fabbri