mercoledì 1 ottobre 2025
Negli ultimi anni, Mosca pare aver fatto risorgere sotto nuove forme il modello operativo della Ceka, la polizia segreta bolscevica creata da Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij nel 1917 con l’obiettivo di reprimere l’opposizione politica e controllare la popolazione, in particolare l’episodio noto come Operazione Trest, un’operazione segreta creata dal potere bolscevico per infiltrare, controllare e sabotare l’opposizione emigrata. L’Operazione Trest era un’organizzazione creata nel 1920, presentata come l’Unione monarchica della Russia centrale, un gruppo anti-bolscevico pronto alla lotta con mezzi violenti. In realtà, era un’esca: gestita, controllata e diretta dalla Ceka, e poi dal Gpu, l’ente successore, serviva ai sovietici per dividere i migrati russi, ottenere informazioni e screditare gli oppositori sia all’interno sia all’esterno dell’Urss. La sofisticatezza dell’operazione era notevole: i sovietici riuscivano a creare una rete fittizia di oppositori credibili, a comunicare attraverso contatti indiretti, lettere e emissari, e a costruire una narrazione coerente al punto da ingannare anche le intelligence straniere.
Quando l’operazione emerse alla luce nel 1927, molti collaboratori in esilio furono screditati e la fiducia tra gli esuli monarchici si spezzò, lasciando cicatrici profonde nella comunità politica fuori dalla Russia sovietica. Oggi, il Cremlino pare aver impiegato tattiche simili nei confronti della nuova diaspora russa, composta da emigrati antiregime, in particolare dopo l’invasione dell’Ucraina e l’intensificarsi della repressione interna. Gruppi legati ai servizi di sicurezza vengono creati o promossi con l’apparenza di movimenti indipendenti, oppositori del regime, allo scopo di penetrare l’emigrazione, ottenere informazioni, dividere i ranghi, rallentare o screditare l’azione politica esterna e mettere in difficoltà le reti di dissidenza. La strategia è duplice: da una parte raccogliere dati su individui e organizzazioni; dall’altra minare la credibilità degli attivisti attraverso false informazioni, diffamazioni e sospetti, generando un clima di insicurezza che spesso scoraggia anche i sostenitori più determinati.
Una caratteristica essenziale è la capacità di operare in un’ambiguità strutturale: questi gruppi si presentano come indipendenti e oppositori del regime, ma i loro comportamenti e le loro connessioni lasciano spesso intravedere possibili legami con lo Stato russo, senza che tale rapporto sia mai chiarito. Questa incertezza contribuisce a generare sfiducia, produrre divisione nella diaspora, isolare oppositori e diffondere sospetti anche tra chi vorrebbe attivarsi contro il regime dal di fuori della Russia. L’effetto psicologico è potente: chi vive lontano dalla madrepatria ma mantiene contatti con chi è ancora in Russia deve costantemente interrogarsi sulla veridicità delle fonti e sul rischio di manipolazioni o ritorsioni indirette.
Anche il discorso pubblico russo di regime richiama la memoria dell’Operazione Trest: sui media filogovernativi circolano articoli che presentano l’operazione storica come esempio di efficacia e astuzia, spesso in chiave polemica verso l’Occidente, accusato di imitare tattiche simili, o come giustificazione preventiva per le proprie azioni contro emigrati e dissidenti. Così, la rediviva Operazione Trest non è solo un richiamo storico, ma un modello operativo attivo, che combina propaganda, intelligence, operazioni sotto copertura e disinformazione. La sua struttura non si limita alla raccolta di informazioni o alla manipolazione dell’opinione: essa è concepita per infiltrarsi nella vita quotidiana dei gruppi emigrati, osservare alleanze, monitorare iniziative e seminare conflitti interni, rallentando o neutralizzando qualsiasi azione politica coordinata contro il regime.
Il duplice obiettivo è controllare e dividere l’opposizione esterna e, quando l’operazione viene scoperta, trasformare la scoperta stessa in uno strumento per screditare gli esiliati e scoraggiare sostegni esterni, diventando così una leva di potere psicologica e politica. In conclusione, la lezione storica della Ceka e dell’Operazione Trest non appare inerte, ma vive: sotto Vladimir Putin, il passato inquietante della repressione politica nei confronti degli emigrati torna a ispirare pratiche attuali. Per chi si occupa di sicurezza, diritti umani e opposizione politica, è un avvertimento: le tecniche del secolo scorso non sono soltanto memoria, ma strumenti attivi, plasmati sulle esigenze del presente, capaci di adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, alle reti sociali globali e alle crescenti mobilità della diaspora, rendendo la storia non solo un monito, ma una guida concreta per comprendere le dinamiche di controllo politico contemporanee.
(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza
di Renato Caputo (*)